DESTRAGE: Are You Kidding Me? No.
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28/02/2014Quando abbiamo saputo che la Metal Blade si era accorta di loro abbiamo pensato che finalmente i Destrage ce l'avevano fatta, sarebbero arrivati in modo capillare tra gli appassionati. L'attesa era giustificata: sarebbero riusciti a dare il meglio di loro? Il famoso terzo disco, che per molti è importantissimo banco di prova, sarebbe riuscito a spaccare il cranio come i precedenti? La risposta della band sta nella lisergica copertina. Ci capite qualcosa? No, ma siete già sotto ipnosi. Se ci fate caso in quella specie di cerchio si possono intravedere nome del gruppo e titolo del disco. Intanto la testa gira (buon segno), come girano i polsi in modo furioso seguendo i chitarristi lungo i riffoni fatti a pezzettini e poi impilati come trofei di guerra, nel nome dei Dillinger Escape Plan. La band lombarda non solo ha solidificato la propria proposta (il magnifico singolo "My Green Neighbour" è tutto tranne che melenso, calci in culo a ruota libera), ma ha cercato di migliorare le proprie capacità tecniche e compositive, andando spesso oltre le sottili barriere che loro stessi avevano messo, provvisoriamente, in 'The King Is Fat'N'Old'. Cinque teste calde del genere non potevano che far partire fuochi artificiali e acidi, attenti a tenere moderno il mood generale dell'album, tentacolari e massicci in ogni frangente, miriadi di suggestioni. Toh, gli In Flames attuali avrebbero pagato per avere un ritornello come quello del primo pezzo, ma subito lo schizzato Colavolpe infierisce sul cadavere (verde zombie, manco a dirlo) di Anders Friden e continua a mietere vittime. Sono dei pazzi che rasentano la genialità, se trattano così il metalcore da fighetta e il mathcore più incazzato, tanto che alcune scelte di frenesia va verso i Protest The Hero (solo quella, per il resto sono due mondi diversi). Trash fino al midollo quando cantano "I like Spice Girls... So what?" nella altra highlight dell'album, "Purania", anche quella una canzone da perderci la testa e fissarsi per giorni (ci siamo passati). Se nella parte centrale del disco prevale la melodia e i brani sono più "accessibili" (virgolette grosse quanto gli stacchi di batteria in "G. O. D."), il piatto forte è la superlativa title track, sette minuti in cui accade di tutto: un vulcano in eruzione, con fiati che sottolineano un umore etnico e -perché no?- sperimentale.
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