SKINFLINT: Dipoko
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05/08/2013Non si sentono tutti i giorni band che vengono dal Botswana, ma nell'ultimo periodo abbiamo avuto notizia dei Wurst, primo storico gruppo del Paese, che si è esibito al SoloMacello Festival e ora la Pure Steel ci fa conoscere gli Skinflint e il loro terzo album. Forte elemento attrattivo non è la provenienza, come alcuni di voi possono pensare, bensì la musica estremamente legata al luogo di origine. Eh già, tra i meridionali che si conciano come se avessero passato tre settimane nelle foreste norvegesi e vichinghi de noantri, ci sono anche gruppi che sin da subito capiscono come valorizzare, nel loro piccolo, la propria cultura. 'Dipoko' è un passo importante per i Nostri, i quali si presentano molto bene al pubblico occidentale. Ogni trend è fatto a pezzetti dalle frustate di basso che imperversano in tutto il disco, con uno stile che ricorda quello di Joey De Maio, mentre Steve Harris appare troppo raffinato per un paragone: ciò ci dà la caratura ancora abbastanza "artigianale" delle composizioni, non eccessivamente dinamiche, però in tutto e per tutto inserite nel filone epico dei primi quattro album dei Manowar. La rude tecnica vocale del canante non spaventa i defender accorsi per assistere a 'Dipoko', tanto che l'effettiva carenza di melodia è colmata con una buona capacità interpretativa. Non un metal per palati fini, pienamente atmosferico e caratteristico dell'Africa più pittoresca ("Gboyo" e i suoi arpeggi), una macchina da oliare nella ripetitività della formula e nella chitarra che si trova quasi sempre in secondo piano rispetto agli altri strumenti, non tanto a livello di suono, quanto di apporto sostanziale al brano singolo.
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