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OPETH: Sorceress

data

11/10/2016
76


Genere: Progressive Metal
Etichetta: Nuclear Blast
Distro: Warner
Anno: 2016

Anticipato dalla mastodontica title track, arriva 'Sorceress', l'album che potrebbe chiarire una volta per tutte cosa sono oggi gli Opeth. Chiarire, cosa direte voi? Ormai la frattura tra i fan è fatta, quindi sarà il caso di cominciare questa recensione facendoci meno domande extra musicali possibili, tradotto in meno pippe mentali. Tanto Akerfeldt se ne frega tranquillamente delle critiche, come è giusto che sia! Critiche che invece hanno fatto aumentare le aspettative per la dodicesima fatica in studio di una band che, tanto per chiarire da subito, ormai ha entrambi i piedi ben inzuppati nel malinconico ricordo del progressive rock settantiano, suonato in modo potente e dinamico, come intelligentemente bisogna saper fare nel 2016, ma intriso di melodie di tastiere e organo Hammond che risultano essere la cosa migliore del disco. Ma andiamo per ordine. Nel 2011, 'Heritage' si è beccato le critiche figlie del cambiamento, quelle dei fan rimasti orfani del riconoscibilissimo trademark Opeth. Nel 2014 'Pale Communion', con le sue non riuscitissime complessità, ci fece capire come in realtà 'Heritage' fosse un riuscito spartiacque tra passato e futuro. Oggi 'Sorceress' riparte sostanzialmente da 'Pale Communion', semplificandone però il concetto musicale e puntando su melodie piacevoli e morbide passeggiate tra chitarre e tastiere, con pochi tecnicismi e tanto feeling per chi ascolta. Ed è qui che la cosa si fa interessante, poichè "Sorceress", il singolo, aveva avuto un effetto dirompente rispetto a tutti i discorsi fatti fino ad oggi grazie alla concreta potenza di quel riff che dal vivo farà crollare i solai dei teatri.  Un singolo che ha innalzato le aspettative, facendoci pensare che stavolta la quadratura del cerchio fosse dietro l'angolo. L'accattivante giro iniziale alla Goblin, spazzato via da quelle chitarre granitiche, ed il vocione così impostato di Akerfeldt erano e restano di una perfezione unica, mai raggiunta nei successivi momenti di ascolto. Già la seguente "The Wilde Flowers" risulta un po' forzata, rianimata solo nel finale da un bel epilogo progressive. La lenta semiacustica "Will O The Wisp" è piacevole, ma manca di pathos. "Chrysalis" rialza i toni con la sua vivace verve, praticamente il pezzo più veloce del disco insieme alla conclusiva "Era". Arrivano poi "Sorceress 2" e "The Seventh Sojourn" a dividere in due l'album. La prima acustica e struggente; la seconda, orientale e dal mood arabeggiante, si rende a dir poco affascinante. Da qui in poi la piega resta tendenzialmente la stessa. Tanta melodia al servizio di una componente progressive di piacevole fruizione, dove sono il basso elettrico di Martin Mendez e la Hammond di Joakim Svalberg a tirar fuori tutta la loro personalità. Soprattutto in "Strange Brew", gran bel momento in cui sono i due assoli di chitarra presenti a conferirgli il titolo di miglior pezzo. E "Sorceress", allora? Non era lei la migliore? In realtà la title track risulta una meteora, una sorta di rimpianto per un lavoro che sembrava essere molto di più. In conclusione: le foto di Akerfeldt e Akesson nel negozietto di dischi, con i vinili della PFM in mano, non lasciano dubbi sulle loro intenzioni. L'album è prima di tutto molto dinamico oltre che buono, ma forse non basterà per farsi amici i nostalgici sessantenni di King Crimson e Jethro Tull che in questo momento sembrano essere gli interlucutori ideali per gli Opeth. Questa storia sembra avere qualche punto in comune con i Paradise Lost e la loro malriuscita mutazione elettronica (Depeche Mode), finita miseramente con un quantomeno discutibile ritorno alle origini. In realtà, qui la storia è diversa; qui la musica resta di livello. Nelle vesti di progressive rock band, gli Opeth non sono dei geni come lo erano quando facevano melodic death metal, ma l'evoluzione resta naturale e genuina. Non come le critiche invece, che fanno leva principalmente su fattori nostalgici, che poco hanno a che fare con gli obbiettivi musicali di una band, che alla fine se ne frega e pur senza sbalordire, tira avanti per la sua strada.

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