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RIDEOUT

A volte non bisogna avere obiettivi talmente fantasiosi ed ambiziosi, per esempio diventare la più grande metal band del mondo, oppure calcare i palchi immensi dei festival più importanti. Per molte realtà delle nostre piccole zone basta solamente salire sul palco, sfogarsi e divertirsi, possibilmente con un buon boccale di birra in mano. E questa nutrita esperienza può bastare per diventare qualcuno agli occhi della gente. E' questa la storia dei piemontesi Rideout, heavy metal band che racconta storie di vita quotidiana e vissuta, che accomuna molta gente, appassionati di musica e non. In occasione dei loro dieci anni di attività abbiamo fatto una bella chiacchierata con i fondatori della band, Valeria Aina e Fabio Attacco, che ci hanno raccontato vita e miracoli (non anche la morte, per fortuna), e ci hanno hanno indicato anche qualche scenario che si sta costruendo per i progetti futuri.

Ciao ragazzi e complimenti per aver raggiunto questo importante traguardo. All’inizio di questa esperienza, pensavate di poter raggiungere un tale obiettivo? Valeria: Come tutte le relazioni di gioventù, si pensa che il tuo migliore amico sarà per sempre, ed il tuo fidanzato sarà per sempre. Per me è stato così, visto che con i Rideout ho avuto tanto da imparare, è sempre stato un continuare a lavorare per raggiungere vari obiettivi. Siamo cresciuti tanto, e non abbiamo mai voluto fermarci. Prima siamo partiti con obiettivi relativamente piccoli, come fare cover e suonare nei nostri paesi e nella nostra zona. Poi la nostra soddisfazione ci ha spinto a lavorare e a fare gli inediti, e arrivare fuori dalla cerchia. Io, sin da subito, ci ho creduto e ci credo tuttora, e chi è rimasto con noi negli ultimi anni evidentemente ha fatto lo stesso.

In quanto a discografia, a che punto siete? Quanti lavori avete prodotto? Valeria: Abbiamo fatto due album di inediti, il primo nel 2014 di nove brani intitolato ‘Ride The Demon Out’ che è stato assolutamente autoprodotto. Dopodiché nel 2017 è uscito ‘Bullet’, che è un EP di quattro pezzi. Adesso stiamo lavorando su pezzi nuovi, e vediamo un po’ cosa riusciamo a combinare. In realtà, in passato abbiamo fatto anche un demo di cover e un demo con le prime bozze dei primi inediti, che però ora stanno chiusi nei cassetti e non vengono diffusi.

Quindi la vostra carriera può essere definita come costruita per metà su cover, e l’altra metà su inediti? Valeria: Più o meno. Il discorso è che noi siamo nati come live band, non abbiamo fin da subito di entrare in studio e fare i dischi. Abbiamo sempre puntato a fare concerti dal vivo, all’inizio un po’ per fare la “pasta” e per capire dove si sta andando a parare, e per indagare sulle influenze di tutti abbiamo iniziato con le cover, e dieci anni fa spaziavamo parecchio, perché avevamo pezzi dal classic rock, all’heavy metal classico, al glam. Pian piano ci siamo tutti raffinati, fino ad arrivare a far fronte comune e scegliere un tipo di sound che mettesse d’accordo le influenze di tutti, fino ad arrivare a scrivere inediti verso il 2010-11, rodandoli dal vivo, e quando abbiamo visto che i pezzi potevano funzionare e potevano piacere si è passato al lavoro di studio. Quindi all’inizio, due-tre anni di sole cover, live a nastro, e poi dal 2010-11 abbiamo provato a scrivere e abbiamo continuato su quella linea.

Dalle jam sessions iniziali avevate pensato già che l’heavy metal classico sarebbe stato il genere con cui costruire la vostra carriera? È un genere che avevate già come background? Fabio: Come ha detto Valeria, noi siamo partiti facendo le cover, e non ci siamo posti limiti. Andavamo a vedere i Cult il giorno prima, ed il giorno dopo tiravamo giù qualche brano dei Cult per il piacere di suonarlo dal vivo, perché siamo nati proprio per il piacere di fare questo. abbiamo amalgamato diversi generi, siamo passati dal sound anni ’70 come i Led Zeppelin, e quindi cose che non centrano niente con quello che stiamo facendo adesso, per passare ad approcciare i Motorhead con voce femminile 7-8 anni fa, quando nelle nostre zone non c’era ancora nessuno che lo facesse. Abbiamo unito quello che ci veniva meglio di ogni genere, partendo dalle influenze di tutti. Non ci siamo definiti con un genere preciso, perché noi abbiamo sempre messo davanti il discorso ‘sound’.

Valeria: L’obiettivo era avere il muro di suono. Poi è chiaro che le influenze sono palesi, ci sono dei pezzi che suonano più alla Black Sabbath, e altri pezzi che probabilmente suonano più alla Motorhead. È un discorso di amalgama di suono, un muro di suono, una voce femminile che buca il muro, e dargliene giù e far casino.

Quindi l’idea vostra è: l’importante è suonare, come far suonare le idee che avete in mente, a prescindere da etichettature varie. Valeria: C’è da dire che ormai è anche difficile e riduttivo identificarsi con un solo genere. Io non potrei mai pensare i Rideout come una band di heavy metal classico, perché io non ho una voce che può fare heavy metal classico. È chiaro che le mie influenze sono anche quelle, però non mi vedo tirare gli acuti alla Rob Halford, o gorgheggiare alla Bruce Dickinson, pur essendo quella l’ABC dell’heavy metal classico. Eppure nei riff si sente chi è appassionato di Judas Priest, chi è appassionato di quel tipo di suono. Trovo appunto riduttivo “ghettizzare” la proposta all’interno di un unico genere. Ci sarà un pezzo che suona un po’ più thrash, quello che suona più punki, quello che suona più heavy, però l’obiettivo comune è come lo facciamo suonare. Quindi mettiamo delle chitarre magari droppate, assoli diretti, voce che graffia, basso che spinge, batteria che pedala come un assassino. Questa è la formula per fare una canzone vera dei Rideout.

Rideout live @ Comunità Giovanile, Busto Arsizio (VA) (photo by ZezoMat)
 
Potete cercare di descrivere in brevi parole i vostri album, ed in generale quali sono i temi principali trattati? Valeria: Fabio descrive il primo disco perché, a quel tempo, sapevo male l’inglese. Io, invece, parlo del secondo perché, nel frattempo, l’ho imparato.

Fabio: Nel primo disco lei era al primo approccio in fase compositiva, ed è stata aiutata molto da me perché avevo avuto esperienze con altri gruppi, e molte volte scrivevo io le linee vocali, testi e parte della musica insieme al mio chitarrista. Le nostre canzoni parlano di esperienze di vita, che magari si affrontano tramite metafore, come quella della fenice nel brano “Phoenix”, che parla delle cose che ritornano dal passato e che ci sono capitate di affrontare ogni giorno. “Temple Of Steel” parla dell’evoluzione della musica, di quando eravamo un po’ più giovani ed andavamo ai concerti facevamo headbanging, pogavamo, e adesso invece siamo lì tutti col cellulare, però rimane sempre un cassettino dei ricordi che salta fuori, e che quando siamo sul palco ci fa comportare come agli inizi. Tutte le canzoni sono di questo tipo; “Sleepless” parla delle persone che non ci sono più, e di quello che si prova quando si ricordano quelle persone. Ci sono diverse tematiche che vengono riunite tutte in questo disco. Nel secondo disco Valeria ha avuto un’evoluzione vocale importante e così le ho ceduto totalmente la fase compositiva.

Valeria: Obiettivamente ho scoperto che mi piace comporre. Nel secondo disco si è definito un suono cambiando la formazione ed avendo anche un altro tipo di sound, più moderno. Ma siamo rimasti comunque una band terra terra, nel senso che mi piace pensare che chi ascolta le canzoni o legge il testo sul libretto possa identificarsi con quello che sto raccontando. Su ‘Bullet’ si parla, per esempio, delle parole e delle persone che ti possono ferire come un proiettile, che è proprio il tema principale di “Bullet Rain”. “Silence” parla del caos che in questo periodo può portarti a fuggire dalla realtà, e ti porta tante volte a dire: sai che c’è? non esco neanche di casa e dormo tutto il giorno! Un filo conduttore delle tematiche dei pezzi che stiamo scrivendo è il fatto di poter sempre superare con i propri mezzi tutte le difficoltà, che possono essere sia personali, che del mondo esterno. I pezzi su cui stiamo lavorando in questo periodo hanno già una vista più globale di quello che succede al di fuori della persona singola. C’è per esempio un pezzo che parla del clima di terrore che stiamo vivendo in questo periodo, un pezzo che racconta la prospettiva vista da chi la guerra la deve fare per forza. Tutte le tematiche vengono trattate sempre in chiave molto introspettiva. Perciò, nel primo disco abbiamo fatto un amarcord di quelli che sono i fasti degli anni passati e da cui traiamo ispirazione. Nell’EP siamo un pochino più incazzati e più introspettivi. Nel prossimo si cerca di guardare fuori dal proprio orticello, ma le tematiche sono sempre cose che posso pensare io, puoi pensare tu o può pensare il primo che passa, ed in cui ci si può identificare.

Quali sono i brani che più rispecchiano l’immagine della band? Valeria: personalmente io mi identifico molto di più con i brani di ‘Bullet’, perché sono quelli in cui dopo anni di studio e di prove, penso di aver raggiunto un livello accettabile per dire: ok, adesso posso dire la mia. Quindi, per me la canzone è “Bullet Rain”, che parla di come con leggerezza a volte le persone ti possono ferire; o anche “Everything Is Alright”, per il fatto che molti giorni ci alziamo e mentiamo a noi stessi dicendo che va tuto bene, ed in realtà dentro siamo devastati. Dico questi brani perché probabilmente le ho scritte in un periodo in cui stavo in queste stesse situazioni, perciò per me sono quelle due che preferisco a livello emotivo. Invece, a livello stilistico, tutte quelle che fanno bordello. Ma a livello stilistico parla Fabio che suona. Io canto.

Fabio: Giustamente, come diceva lei, ci rappresenta di più l’EP rispetto al primo disco perché c’è stata un’evoluzione e quindi riusciamo ad esprimere meglio quello che nel nostro lavoro è introspettivo. Lei in questo EP, e tuttora, fa parte attiva della composizione rispetto al primo album dove era un po’ indietro.

Copertina di 'Ride The Demon Out', autoprodotto e pubblicato nel 2014
 
Copertina di 'Bullet', EP pubblicato nel 2017
 
Sin dall’inizio, Valeria e Fabio sono i componenti principali della band. I vari membri che si sono susseguiti ne hanno fatto parte in maniera autonoma, o c’è stato un percorso, tra virgolette, di selezione da parte vostra? Valeria: La cosa abbastanza divertente è stata che all’inizio i Rideout sono nati da una jam session tra amici, spargendo la voce, provando, e da lì è nata la primissima formazione. Nel giro di pochi mesi, dal debutto alla sfilza di live nel Biellese, abbiamo cambiato un po’ di componenti, fino a che abbiamo arruolato il nostro primo chitarrista, che poi è il nostro chitarrista ufficiale dato ha contribuito al nostro primo disco, che è Marco Gallo, e poi Marcello Del Bosco alla batteria, che anche lui ha fatto il primo disco e poi ha lasciato. Questi due hanno abbandonato per motivazioni personali, non strettamente legate al lavoro della band, ma perché hanno avuto effettivamente altro da fare. In realtà non abbiamo fatto selezioni, perché quando siamo rimasti senza batterista, il batterista dei Mad BillyGoat si è proposto perché avevamo fatto una serata insieme. Ci aveva detto che gli era piaciuto il nostro sound e che, in quel momento, era disponibile, e nel giro di due minuti era dei nostri. Incredibilmente, nel giro di amici e di persone che abbiamo conosciuto c’è gente che ci ha chiesto di venire a suonare con noi, ed abbiamo sempre detto di sì. Per esempio, Andrea “GhostDog” che ha suonato nell’EP è stato arruolato nel giro di dieci minuti, serviva un chitarrista e sapeva che il giorno dopo avremmo suonato con lui.

Fabio: La novità che comunichiamo con questa intervista è che Andrea “GhostDog” si è preso una pausa di riflessione, perché ha un po’ di problemi che non gli permettono di concordare il lavoro con la musica, e quindi ci ha chiesto una pausa e abbiamo iniziato a provare con Vincenzo ‘Krisk’ Criscuolo, il chitarrista dei Blut, che debutterà con noi il 21 settembre al Wanted di Galliate (NO), iniziando con noi questo percorso. Le porte con Andrea sono ancora aperte, e potrebbe esserci per l’anno prossimo e per la stesura del nuovo disco una formazione con due chitarre, che potenzierà ulteriormente il nostro sound.

Valeria: ‘Krisk’ è sgtato uno di quelli che ha detto: posso venire a suonare con voi? Scherzi a parte, ‘Krisk’ si è proposto dopo averci sentito dicendo che due chitarre spingerebbero parecchio e sarebbe figo suonare con voi, ma perché siamo un po’ una famiglia ed accogliamo altri personaggi nel nostre idee malate. Cogliendo l’occasione, Andrea si è preso questa pausa perché, per quanto ci sia la volontà, esistono delle difficoltà oggettive date dal fatto che nessuno di noi è un musicista professionista, o comunque non siamo sotto agenzie che spingono per farci buttare fuori materiale, contratti, tour, ecc. possiamo avere il lusso di dire: ok, per questo periodo dedicati a quelli che sono i tuoi impegni, supera le tue difficoltà, e sappi che la porta è aperta perché il terzo disco lo voglio fare!

Due cose. La prima: la doppia chitarra sarà un elemento distintivo del prossimo album? La seconda: è una vostra scelta non appoggiarvi ad agenzie e booking vari, ed essere liberi ed indipendenti? Valeria: Il discorso è che noi, essendo una live band ed avendo già un giro che ci dava soddisfazioni, fino adesso non abbiamo mai pensato di appoggiarci ad agenzie. Lo vorremmo fare con il terzo lavoro, anche perché sono dell’idea che troppo spesso esistono agenzie che prendono a scatola chiusa, e poi producono senza avere il materiale rodato, controllato e di qualità. Ormai il pay-to-play è una cosa che, bene o male, stanno facendo tutti, chi più chi meno.

Fabio: c’è un limite invalicabile senza il quale non riesci mai ad arrivare.

Valeria: Sì, ormai è così, anche se non assolutamente niente contro questa politica. Anche nella cerchia di amici c’è chi suona all’estero, ed ha pagato un’agenzia di booking che lo porta a suonare all’estero. Ormai sono finiti i tempi in cui suoni in birreria ed arriva il talent-scout e ti fa il contratto. Noi, per esigenze personali e lavorative, siamo comunque una band operaia. Nessuno di noi in passato se l’è sentita di fare questo tipo di salto e proporre un prodotto come poteva essere ‘Ride The Demon Out’ a livello più ampio di quello che possiamo definire, toh, regionale? Grazie a Dio siamo a cavallo tra Piemonte e Lombardia, e quindi siamo arrivati addirittura nelle regioni limitrofe. Ai tempi non ce la siamo sentita. Mai dire mai, nel senso che quando abbiamo un prodotto che funziona ed una formazione che può funzionare, e le tasche che ci permettono di farlo, perché non provarci?

Fabio: Quelli per le agenzie sono degli investimenti che richiedono sacrifici che a volte non si possono proprio fare, perché se il lavoro viene prima della musica perché ti deve mettere il pane in tavola, sei obbligato a fare certe scelte. Noi comunque ci mettiamo tutta la passione possibile, e magari un giorno il talent-scout arriva. Sono dieci anni che aspettiamo, e ne aspettiamo altri dieci. Intanto andiamo a divertirci.

Valeria: Alla fine bisogna essere tutti e quattro (o tutti e cinque) disponibili, perché se io coltivo un prodotto per mesi, o per anni, con determinate persone, l’idea di prendere un turnista perché il mio chitarrista, per esempio, non può venire a fare il tour, non mi sembra molto corretta dato che io sono affezionata al progetto. Su questo sono nostalgica e ragiono molto da paesana, poi è chiaro che la band per me è quella, e se l’obiettivo è comune si fa in modo di raggiungerlo. Se qualcuno, per qualsiasi motivo, non può o non vuole, si valuta. Ma nella maggior parte delle volte si corregge il tiro e si cercano nuovi obiettivi che piacciano a tutti.

Fabio: Per quanto riguarda la doppia chitarra, per il futuro potrebbe essere una soluzione. Sicuramente ci sarà un’evoluzione del nostro sound, ed aggiungere potenza a quello che è stato il disco precedente, adottando questa soluzione, o altre soluzioni, che stiamo vedendo in sala prove.

La zona da dove provenite vi dà un buono slancio per coltivare la vostra passione? So che il Piemonte, specie negli ultimi anni, è una terra piuttosto fertile in campo underground. Valeria: Se parliamo della zona del Canavese e del Torinese, diciamo di sì, rispetto a quella che è la zona dove viviamo adesso, che è la zona di Novara. Basti solo vedere l’affluenza che hanno avuto festival come il Metal Queen, che hanno fatto a Rivarolo, nel Canavese, per dire che sta uscendo una scena heavy metal style di Torino che ha un buon richiamo per i gruppi underground. A mio parere, sembra un po’ che resti fuori Novara, forse perché questa città guarda molto al Milanese come zona, perciò non si riesce ancora a creare una scena. Qualcuno ci ha provato, però non c’è ancora quel supporto per poterla definire tale. E quindi è veramente raro che con i Rideout abbiamo suonato a Novara città, a 10 km da casa mia. E’ successo forse quattro volte in dieci anni. Mentre, invece, nel Canavese abbiamo fatto parecchie date, e nel Biellese ci sono stati periodi in cui eravamo abbastanza richiesti, con locali che ci davano la possibilità di suonare. Soltanto adesso, nella zona della bassa, qualcosa inizia a muoversi. Il problema di festival come lo erano il Maximum Festival di Trecate, o il Giovani Espressioni, vengono creati a spot da piccole associazioni, e quindi sono pochi i festival che durano più di due-tre anni.

Fabio: L’unico è il Rock For Life che ci sta provando, grazie all’esperienza del Live Music Talk, che raccoglie fondi e sta aiutando le band emergenti di Novara e sta provando a ricreare una scena.

Valeria: Io sto notando una cosa. A Novara si ha molta paura, e lo trovo assurdo. Quando abbiamo partecipato a Live Music Talk sembrava quasi che noi fossimo la band più estrema, quando invece, in realtà, quello che facciamo non è assolutamente estremo. Si punta su altri generi, e questo lo dico proprio terra terra. È un peccato, perché è un territorio pieno di musicisti validissimi, e c’è anche stata una scena di black metal estremo; basti solo ricordare Marco De Rosa e tutto quello che gravitava attorno ai gruppi di questo ragazzo, e comunque c’era del movimento. Questo movimento rock e metal in generale, però, non è mai emerso, non è mai stato mainstream, ma vengono fuori cose un po’ più pettinate. C’è una buona scena blues, hanno fatto il Jazz Festival che a Novara, tutti gli anni, riscuote molto successo. Manca solo quella parte di sano rock ed heavy metal che non è emersa.

Fabio Attacco (basso) (photo by ZezoMat)
 
Oltre al traguardo temporale, ci sono stati altri traguardi ed obiettivi importanti che avete raggiunto? Fabio: Noi abbiamo un personale record: il fatto di esserci iscritti a due concorsi, e di averli vinti tutti e due. Il problema è per mantenerla non dovremo più iscriverci ad altri concorsi, altrimenti rischiamo grosso.

Valeria: I concorsi sono stati una soddisfazione. Il primo concorso ci ha permesso di partecipare al Woodinstock nel 2014, su un palco come quello di Ternate che era un palco della Madonna. L’altro concorso è quello che ci ha permesso di suonare al Rock’n’Roll di Rho (MI), e lì è stata una soddisfazione perché ci siamo confrontati con band che erano coinvolte con un’agenzia, o che avevano già fuori dei dischi e che erano stati distribuiti maggiormente rispetto al nostro. Lì è stata davvero una bella soddisfazione, avendo avuto apprezzamenti da parte di persone che ci capiscono di musica. Io ho partecipato ad un concorso dicendomi che sono stata brava, da parte dell’assessore che è appassionato di musica. Certo, fa piacere, ma se te lo dice uno del mestiere è ancora più soddisfacente. Tra i vari traguardi, una volta che è uscito ‘Bullet’ siamo riusciti a suonare al Rock Inn Somma nel 2017, ed il palco è stato veramente figo.

Fabio: Al Metal Queen Festival siamo stati molto partecipi.  Ci sono state cinque edizioni, e noi abbiamo partecipato a tre. Dopo i Wolfsinger che sono gli organizzatori principali, siamo il gruppo che è stato più presente, giusto per portare avanti il discorso del metal con voce femminile, che una volta era un po’ bistrattato perché non c’erano cantanti donna, a parte Lita Ford o i Warlock. Invece adesso si stanno facendo largo prepotentemente.

Qual è l’esperienza che, in questi dieci anni, ricordate con particolare affetto e simpatia? Fabio: Scegliendone una a caso, diciamo della serata che abbiamo fatto al Celebrity Beach e la storia dei fusti di birra.

Valeria: La leggenda narra che siano stati svuotati dodici fusti di birra in due ore.

Fabio: Al Celebrity Beach di Somma Lombardo (VA) c’erano gli Alzamantes con cui siamo rimasti un po’ in contatto e che facevano danze irlandesi, e insieme dei metallari che ballavano ubriachi. C’era il cantante dei Longobardeath che gestiva le serate in quel periodo, ed è salito sul palco con noi cantando “Ace Of Spades” e “I Wanna Be Somebody” alla sua maniera.

Valeria: Il fatto è che, semplicemente, a noi piace suonare dal vivo, e cerchiamo sempre un motivo buono tra mille inghippi per poterci divertire. Abbiamo addirittura suonato ad un addio al celibato, in un resort del Monferrato dove erano tutti in giacca e cravatta, e noi a fare gli asini ed a suonare i Metallica per dare fastidio allo sposo.

Valeria Aina (voce) (photo by ZezoMat)
 
Pensate che, nei prossimi dieci anni, l’heavy metal classico sarà ancora il vostro sound predominante, o magari darete spazio a qualche contaminazione particolare, rimanendo pur sempre nei limiti della vostra immagine personale? Valeria: Personalmente, quello che stiamo facendo adesso a me piace, ed è quindi quello che al momento calza meglio addosso. Però non si può mai dire. Abbiamo già avuto un’evoluzione grossa in dieci anni. E può essere che con la doppia chitarra, se riusciremo veramente nei prossimi anni ad attuare il progetto, ci sia ancora qualcosa di nuovo e qualcosa da sperimentare. Magari, continuando a studiare canto come sto facendo, imparerò a fare qualcos’altro.

Fabio: Nessuno può prevedere come sarà tra 5-10 anni, può succedere davvero di tutto. Noi abbiamo le influenze ben definite; ormai vado per i quaranta e lei ha già passato i trenta, e sarà difficile cambiare radicalmente gusto. Potrebbe essere che con le due chitarre ci sia un po’ di melodia in più nel muro di suono. Penseremo comunque a potenziarci sempre di più.

Valeria: Quello che è sicuro è che ci piace suonare, e piace suonare con gente che si diverte. Quindi, se il buon Tricarico alla batteria ha voglia di stare in questo progetto abbastanza folle, e in questo periodo Krisk potrebbe riuscire anche a beccarsi bene e a metterci del suo in maniera prepotente (anzi, me lo auguro perché sarebbe l’ennesima influenza da coltivare), potrebbero uscire cose buone. Quello che è sicuro è che si suona, e quello che esce è tutto da vedere.

Per concludere, date uno stimolo agli ascoltatori affinché possano ascoltare la vostra proposta, ed un consiglio, data la vostra esperienza, ad un eventuale nuova band che si accinge a costruire un percorso che voglia essere simile al vostro. Valeria: Vorrei darlo io il consiglio a probabili debuttanti, dato che ho la deformazione professionale come insegnante di canto, visto che finalmente faccio questo mestiere e sono contenta. Una cosa che dico per esperienza è non aver paura di esprimere sé stessi. Come dicevo prima, troppo spesso tendiamo a chiuderci nei clichè di un genere. Se tu sei una ragazza che ha una voce di un certo modo, come era successo a me, normalmente il 70% di cantanti donne che si presentano da me hanno voce pulita, quasi lirica. Dico invece che se siete incazzate, non dovete avere paura. Se volte cantare i Motorhead, o volete abbaiare, fatelo! Non abbiate paura di esprimere qualcosa che sia diverso dai canoni che siamo abituati ad ascoltare e che passano in radio o in TV. Allo stesso modo, suonate come se non ci fosse un domani e non abbiate paura di alzare il volume e di non piacere a qualcuno, perché succede sempre che a qualcuno stiamo sul cazzo. Perciò, tanto vale fare una cosa che ti piace, anche se verrà fuori sempre qualcuno che ti criticherà e che ti vuole costringere a fare qualcosa che non sento mio.

Fabio: Io invece dico due cose banalissime, usando i clichè che non ha usato lei, che però secondo me devono essere il centro di un musicista quando parte e quando va avanti. Non bisogna mollare mai, e non bisogna fermarsi mai, perché non c’è tempo.

Valeria: Infine, per promuovere quello che facciamo noi, perché la gente deve ascoltare i Rideout? Perché i Rideout si divertono come dei pazzi quando suonano, e ancora di più quando suonano dal vivo. quindi, quando passate nelle nostre zone e saprete delle nostre serate, vedrete quattro stronzi che si divertono, e questa cosa fa piacere. Almeno a me piace divertirmi e piace vedere la gente che partecipa, Nei nostri dischi il sound è praticamente uguale, nel senso che vogliamo portare in studio quello che facciamo dal vivo, Non ci sono sorprese che in studio cantiamo in cinque e dal vivo ci sono solo io. Noi siamo questi: band operaia, dargliene giù un casino, e divertirsi.

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