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AGNOSTIC FRONT

Mercoledi 22 giugno. C’era la solita calorosa e gremita folla ad accogliere gli Agnostic Front al loro abituale ritorno in Italia. Ormai si può dire che i newyorkesi siano di casa a Roma, e il feeling con gli spettatori lo dimostra. Un pizzico di timore ci ha assalito prima del concerto, poiché il leader ha avuto problemi di salute decisamente gravi nell’ultimo anno. Qualcuno vociferava che Roger Miret potesse non esserci, oppure che si presentasse sì sul palco, ma in condizioni precarie. E invece c’era eccome, e nonostante una voce non al massimo della potenza ha messo a ferro e fuoco il palco del Traffic con grinta, sudore e attitudine. Ma riavvolgiamo il nastro e torniamo all’inizio. Problemi logistici non mi hanno permesso di arrivare col dovuto anticipo al locale, e sono riuscito infatti a vedere solo la seconda metà dell’esibizione dei romani Mind-Knot. Non proprio affini ai miei gusti, ma tosti, grintosi, sudati a dovere – quindi “bella così” come si suol dire. Degne spalle degli americani. Un peccato non aver potuto assistere anche alle performance dei LaCroce, che hanno aperto il live. Torniamo agli Agnostic. Per l’occasione il Traffic, ormai oasi e tempio della musica underground capitolina, aveva installato dei nuovi condizionatori – annunciati in pompa magna sui social – per incoraggiare i potenziali spettatori a sfidare il caldo e l’afa di questi giorni. E infatti fino a prima che i punkettoni di New York salissero sul palco a incendiare la sala, si stava più freschi dentro che fuori. Poi, come dicevamo, il battesimo di fuoco.

Nonostante dei problemi di audio durante i primi due o tre pezzi – la voce del cantante si sentiva a malapena e anche le chitarre avevano i loro problemini – era evidente come gli AF fossero in forma e desiderosi di ripagare i fan per la loro presenza. Commovente anche le parole spese dal vocalist nel momento in cui ha ringraziato tutti per il supporto e la vicinanza durante la sua battaglia contro il cancro. Onesto, sincero, schietto, di cuore. Come il punk e l’hardcore. Per quanto riguarda la scaletta i Front hanno attinto qua e là dall’intera discografia, com’era giusto che fosse. Picchi di un certo calibro si sono raggiunti con l’inno “My Life My Way”, con “For My Family”, “Only in America”, “Police State”, con la cover conclusiva “Blitzkrieg Bop” (meravigliosa) e con quella degli Iron Cross “Crucified” – tutti brani che hanno generato mosh pit di una certa intensità. Iconico e simpaticissimo dall’inizio alla fine del concerto l’altro membro “core” degli Agnostic, il chitarrista e fondatore della band Vinnie Stigma, un nanerottolo ribelle (che ha anche “cantato”, stonato come una campana, anzi come il punk, un brano celebrativo).

Il momento topico, naturalmente, è arrivato quando Miret ha cantato “Gotta Go”. Si è levato un coro da brividi che ha accompagnato il combo statunitense lungo tutto l’arco della canzone. Un coro come ce ne sono solamente nel punk, secondo il sottoscritto. Probabilmente perché rispecchiano l’animo sincero e popolare con cui è nato il genere decenni fa. Uno spirito che a dispetto del motto “punk is dead” è sopravvissuto alla grande, battagliero e incazzato. “From the east coast to the west coast - Gotta, gotta, gotta go. True sounds of a revolution - Gotta, gotta, gotta go. In our hearts and in our souls - Gotta, gotta, gotta go. United we stand, divided we fall - Gotta, gotta, gotta go.”

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