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GLENN HUGHES + MOONSTONE PROJECT

A distanza di pochi mesi dalla calata trevigiana di Ian Paice, tocca ad un altro ex Deep Purple (anche se decisamente meno ‘prestigioso’) calcare il palco del New Age. Glenn Hughes, accompagnato da Moonstone Project, è riuscito a far accorrere parecchie persone, segno che la sua personalità non è mai stata dimenticata. Ad iniziare il concerto ci pensa MOONSTONE PROJECT (la band di Matt Filippini) tout court, senza l’atteso Glenn, per scaldare l’audience nell’attesa che ‘the voice of rock’ (vabbè… a seconda delle opinioni) salga onstage. I nostri si prodigano in quattro brani tratti dal loro disco, con il singer dei Time Machine dietro il microfono; nonostante la performance della band sia buona (eccellente nel caso del già citato vocalist e di Alessandro Del Vecchio che però ha faticato parecchio a spuntare nel muro di suono complessivo), la conoscenza praticamente nulla mi impedisce di formulare un giudizio più articolato. La gente applaude, ma è palese che tutti stanno aspettando Hughes. Glenn (invecchiato e conciato in maniera decisamente discutibile) fa il suo trionfale ingresso e la band attacca come da copione con “Stormbringer”, resa decisamente all’altezza. Sembra che la strada sia spianata per un ottimo concerto, e invece sarà pressochè un disastro. Oltre a dei suoni poco convincenti, la scaletta sarà una scelta atroce dei pezzi più brutti (o comunque ‘meno belli’) dei Deep Purple, praticamente tutto il contrario di quanto visto con Ian Paice. Addirittura insopportabile la riproposizione di “Mistreated”, allungata all’inverosimile con uno stacco di vocalizzi di Hughes piuttosto imbarazzante, nel quale il nostro ha esibito le sue doti di imitatore di Prince. La gente applaude, io sono sull’orlo delle lacrime di disperazione. Tutto il resto è stato un minestrone prolisso e di pessima qualità ulteriormente affossato dal chitarrista Matt Filippini, che si conferma axeman di livello davvero basso, sia quando imita Blackmore che quando imita sé stesso. Innumerevoli errori (da pelle d’oca alta quindici centimetri l’assolo di “Burn”) ed imprecisione generale di fondo non hanno fatto che peggiorare la situazione. Una serata totalmente da dimenticare.

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