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ISOLA ROCK 2017

Una realtà musicale sempre più consolidata nel nord Italia, e in particolare in Veneto, è giunta quest'anno alla sua dodicesima edizione, ed ogni anno ha acquistato sempre maggiore qualità. Si tratta dell'Isola Rock, festival organizzato come di consueto dalla fervida Associazione 'I Butei', e che ha avuto come cornice il suggestivo contesto di Villa Boschi, ad Isola della Scala (VR). Un festival dove sino interscambiati diversi generi rock e metal, e dove non è mancata l'offerta gastronomica, oltre che di prodotti musicali e di oggettistica varia.

Battezza la due giorni della kermesse veronese, per l'esattezza venerdì 18 agosto, l’heavy metal di stampo classico dei Silenzio Profondo, presenti a questa edizione dell’Isola Rock in quanto vincitori del Tregnago Rock Contest. Il loro metal con canzoni scritte tutte in italiano si dimostra piuttosto interessante e concreto, con una buona dose vocale di Maurizio Serafini e strutture musicali dal discreto impatto. Cantare in italiano risultando pienamente credibili non è mai facile, ma loro ci provano senza remore ed il risultato si dimostra apprezzabile. Su alcuni parti c’è senza dubbio da migliorare, in particolare in determinate parti soliste dove la chitarra di Gianluca Molinari può e deve essere maggiormente più pulita e possibilmente priva di tentennamenti. Ma tutto sommato, si vede che è una band vera, e lo dimostra l’omaggio a fine set al loro ex chitarrista Matteo Fiaccadori, tristemente scomparso da poco tempo.

Nel caldo pomeriggio di venerdì salgono sul palco per continuare la serata gli Echotime. Dall’heavy metal più genuino si passa a soluzioni più articolate e complesse, che si avvicinano presumibilmente ad un power metal di stampo epico e sinfonico, che cerca di valorizzare il concetto di “concept” che il leader Alex Kage ha in mente di porre in essere. Questo concetto non sembra essere raggiunto appieno, nonostante la volontà di mettersi in mostra cercando di costruire un filo logico comune tra i pezzi dei due album della band proposti dal vivo, nonché dimostrandosi credibili con una presenza scenica che vuole essere d’impatto. Il loro metal è discreto, non particolarmente entusiasmante, e la voce di Kage risulta essere più convincente in alcune parti e non in altre: quando si muove su percorsi più aggressivi e spregiudicati, mantiene una sua linea costante ed accettabile; a fasi alterne invece quando si infila in contesti con voce più clean e più classica, dove alcune imperfezioni si notano con evidenza. È una band che cerca di porsi delle idee che creino una storia, ma ancora non sembra che questa storia sia assolutamente modellata e consolidata. Va bene gli orpelli, sia di costume che sonori, ma c’è bisogno di maggiore concretezza.

Un genere che negli anni passati ha avuto un fulgore molto grande è stato quello del metal sinfonico, principalmente con voce femminile. Negli ultimi anni questo genere ha peccato un po’ di difficile rinnovamento, e salvo determinati casi è sceso di qualità, ed in misura minore di interesse, dato che molte fette di appassionati rimangono ancora fedeli all’immaginario che il genere pone. Tra quei gruppi che cercano di ritagliarsi uno spazietto di visibilità ci sono i Constraint, band molto giovane con all’attivo l'album 'Enlightened By Darkness', e che dimostra di avere delle buone qualità musicali. La formula che attuano è quella classica del metal sinfonico: melodie avvincenti ed ariose, con un drumming ed una ritmica mai troppo serrati, ed in primis la presenza della voce lirica di Beatrice Bini. In pratica, una formula che raccoglie proseliti ed interesse, ma non evolve, rimanendo ancora a stilemi piuttosto bloccati, non riuscendo ad essere particolarmente originale. Senza discutere sulle qualità dei singoli, come detto buone, è l’insieme che dopo un po’, quando noti che non decolla, finisce per perdere di interesse. E, almeno al sottoscritto, questa sensazione è venuta fuori in modo lampante. Hanno tutto il futuro a loro disposizione, cerchino di effettuare ragionamenti in tal senso nell’ottica di un maggior appeal della loro proposta che possano tentare di far riemergere un genere che tende a rimanere sostanzialmente ancorato a melodie di 10-15 anni fa, senza provare a instillare un minimo di innovazione.

Da una promessa del metal sinfonico, ad una realtà ben presente negli anni dell’heavy power metal italiano e non solo. Scendono in campo i romani Kaledon, con la loro continua e vitale battaglia e il loro spirito guerriero che Alex Mele ha saputo imprimere al suond della band, ed ai vari membri che nei Kaledon si sono interscambiati. L’ultimo lavoro ‘Carnagus: Emperor Of The Darkness’ viene ripreso dal vivo con particolare importanza, ma la spinta maggiore, (almeno nella serata dell’Isola Rock) viene data dai brani degli album precedenti, soprattutto in quelli dei vari capitoli de ‘Legend Of The Forgotten Reign’, i quali hanno una struttura musicale pressochè definita negli anni che vengono interpretate con maggiore scioltezza ed epicità, e che garantiscono una resa sonora piena e convincente.. Come anche testimoniato da Mele stesso, i pezzi nuovi devono ancora raggiungere la sintonia e l’alchimia perfetta per essere convincenti dal vivo. E complici anche dei problemi tecnici nei brani iniziali del set, nei quali Mele si sentiva piuttosto spaesato prima di trovare il rimedio per poter continuare lo show in linea di galleggiamento, i brani del nuovo album risultano sì potenti, ma su cui ancora bisogna lavorarci per fare in modo che sprigionino ancora più potenza. In tutto questo, la garanzia di qualità è data dalla voce dell’attuale singer Michele Guaitoli, sempre ad alti livelli e che compensa alla grande gli squilibri tecnici che possono sempre capitare.

Ora, tutto quello che di metal è stato proposto, levatelo completamente di torno perché con i romagnoli Witchwood si va in quelle atmosfere molto care a gruppi storici come Deep Purple, Lynyrd Skynyrd, Jethro Tull, e creando scorci pazzeschi di rock sanguigno e viscerale. Con i Witchwood si va di colpo nel Sud degli Stati Uniti, in quei territori dove il blues scorre nel sangue di tutti. La band ha pubblicato un album sulla lunga distanza, ‘Litanies From The Woods’, e il recente EP ‘Handful Of Stars’, dalla durata molto simile a quella di un album, a cui si aggiunge l’album ‘From The Solitary Woods’ ai tempi in cui ci si chiamava ancora Buttered Bacon Biscuits. Tutti album uno più bello dell’altro, e ad Isola Rock riprendono alcuni pezzi che trascinano il pubblico in un vortice di emozioni e di viaggi pieni di sudore e di adrenalina che difficilmente si dimenticano. Ogni membro della band coinvolge il pubblico con la loro musica in modo sublime, e non c’è un attimo di cedimento. La chitarra di Ricky Dal Pane, connessa alla sua calda voce, costruisce giri entusiasmanti, e la ritmica formata da Woody Stella alla chitarra, Luca Celotti al basso ed Andrea Palli alla batteria, si dimostra pressochè perfetta e ci fa viaggiare. Aggiungiamoci anche le linee ariose dell’organo di Steve Olivi e del flauto traverso di Sam Tesori, sempre puntuali ed essenziali nel progetto, e la creatura è completa in ogni sua parte. È il rock che tutti gli appassionati vorrebbero farsi sentire nelle orecchie e nel corpo, un rock che ti scuote e ti emoziona, senza inutili sofisticherie e superfetazioni varie: solo purezza e genuinità. Al loro ottimo repertorio, i Witchwood aggiungono una versione stellare di “Gypsy” degli Uriah Heep, che ci fa stampare un sorriso infinito. Uno show impeccabile, che ha spettinato alcuni che erano già a conoscenza della band, e sorpreso altri che hanno osservato con curiosità le gesta di una band che vorremmo sempre avere con noi.

Sabato 19 agosto, secondo giorno di Isola Rock, e si parte subito con una modifica importante. Dopo essersi consultati in mattinata su come continuare la manifestazione, visti gli sviluppi metereologici, i ragazzi dell’Associazione 'I Butei' hanno deciso di smontare le consistenti strutture poste sul prato, e di spostare tutto all’interno di una sala di Villa Boschi, e si vedrà poi che è stata una scelta positiva, anche se si è portata dietro tutti i suoi limiti.

La seconda giornata inizia con i veneti Carillon, che propongono un rock-metal piuttosto sostenuto che mette in mostra le doti della cantante Patty Simon, scenicamente appariscente e con discrete doti vocali. Usa diversi range, dal cantato pulito al lirico (ricordando per certi versi anche Antonella Ruggiero ed i Matia Bazar), passando anche sul finire del set ad un growl con punte di qualità. Il problema principale è che il suo modo di cantare, per quanto interessante, certe volte fa risultare poco comprensibile l’armonia dei testi, soprattutto perché la band propone testi interamente in italiano, ed è un po’ un peccato perché va a cozzare con le melodie della band, non entusiasmanti ma comunque nella norma. Oltre a questo, si nota anche la solarità della cantante nell’incitare il pubblico ed annunciare i pezzi, che fa di lei sicuramente una persona con cui poter ben dialogare, ma che a volte si ha il sentore che ogni tanto esageri, dato che lo fa utilizzando range vocali che servirebbero piuttosto quando canta i propri brani. Per il resto, prestazione discreta in vista dell’album che uscirà il prossimo anno.

Si alzano le frequenze, ed anche l’affluenza e l’interesse del pubblico, quando si presentano i piemontesi (di quartier generale) Mr. Riot, facendo quindi entrare in scena il rock sanguigno e senza fronzoli adatto a far divertire noi ragazzotti. I ragazzi sono al lavoro nella produzione del secondo album, del quale viene proposto un estratto sul palco dell’Isola Rock; gran parte del set quindi viene incentrata sull’esordio ‘Same Old Town’, un disco molto interessante che trasuda rock vero. Sul palco i ragazzi si presentano bene, con una buona vitalità e la giusta dose di energia nel proporre le loro storie rock. L’attuale cantante Thomas è autore di una buona prestazione, con la sua voce ed il suo atteggiamento sul palco che ricorda molto certi personaggi del rock melodico anni ’80, Jon Bon Jovi e Brett Michaels su tutti. Mario Nappi alla chitarra è un’autentica furia, sudato come non mai, si muove a perdifiato, anche fin troppo facendo staccare un paio di volte l’alimentatore della chitarra. E’ una performance convincente, che fa cantare dalla platea i loro fans più accaniti, ma che può essere ancora migliorata, in attesa che i pezzi nuovi confermino quanto di buono c’è già nel disco di debutto, e soprattutto che dal vivo spacchino a dovere.

L’essersi intrattenuti proprio con i Mr. Riot ha fatto perdere di vista l’esibizione degli unici esponenti esteri dell’Isola Rock, vale a dire i tedeschi Black Abyss, ma da quel che giunge è che hanno dato buona prova di loro, con un heavy metal tipicamente teutonico bello convinto e verace, nonostante i limiti acustici posti dalla struttura interna di Villa Boschi.
Rientriamo quando vanno in scena i veri padroni di casa e membri tra i principali dell’Associazione I Butei, e cioè la prog-rock band Dark Ages. Loro uniscono classe e potenza, in percorsi musicali mai troppo intricati e che lasciano spazio molto volentieri a suadenti melodie che rilassano la mente, per alternarsi poi a tripudi musicali poliedrici quando è il momento di alzare i giri al motore. Gran parte del set verte sulla nuova e molto interessante fatica ‘A Closer Look’, che si dimostra essere un bel pezzettino della vasta gamma del progressive metal generale italiano. Il giocare in casa, oltretutto, fa in modo che la band dia tutta sé stessa, e si vede proprio che loro suonano con convinzione. Dal punto di vista acustico, quando i Dark Ages si immergono a volte in ensemble musicali complessivi, non sempre si riesce ad apprezzare il loro lavoro, finendo per risultare un pochino confusi con la batteria di Carlo Busato che sovrasta spesso i suoni degli altri componenti; quando però intervengono le parti soliste soprattutto delle tastiere di Angela Busato e della chitarra di Simone Calciolari, si vede in maniera lampante la classe dei musicisti, con la loro tecnica notevole in grado di catalizzare l’ascoltatore in maniera immediata. Buona anche la prestazione del vocalist Roberto Roverselli, particolarmente a proprio agio sul palco, scherzando volentieri con i suoi compagni. Il finale è dato dalla potente “Oath”, dal precedente concept ‘Teumman’, ed è l’ennesima dimostrazione che quando accelerano, i Dark Ages non vogliono essere secondi a nessuno. Una band da seguire sempre.

Come da seguire sono anche i più esperti Danger Zone. La band bolognese formatasi nei primi anni ’80 hanno pubblicato l’anno scorso l’album ‘Closer To Heaven’, ben apprezzato dalla critica per il modo fresco con cui la band approccia l’hard rock melodico, riuscendo ad essere sempre fruibile e ben ascoltabile, come nella miglior tradizione AOR e del rock melodico. Inoltre hanno ri-pubblicato ‘Undying’ per l’edizione giapponese, con una veste rimasterizzata e più completa, che facilita ancora di più la fruizione. Sul palco dell’Isola Rock, Giacomo Gigantelli e compagni danno una prova convincente e piacevole di sano hard rock melodico, con melodie abbastanza pulite ed elementi puntellati nei posti giusti. Molto buona la prestazione di Roberto Priori alla chitarra, con riff ficcantie ritmiche che tengono sempre il passo. La resa acustica invece non ha valorizzato appieno il lavoro delle tastiere, assurte qui a ruolo di mero contorno e che, al contrario, dovrebbero risultare determinanti per questo genere. Una performance comunque molto apprezzata per una band che non ha proprio nulla da dover imparare e che è sempre sinonimo di garanzia.

La garanzia che ormai dal debutto fino ai giorni nostri ha sempre contraddistinto una tra le formazioni heavy metal italiane più important ed apprezzate in Italia e all’estero, vale a dire i Secret Sphere. Nonostante la caratura della band di Michele Luppi e Aldo Lonobile sia giustamente poco discutibile, è forse la band in cui si è avvertita maggiormente la mancata sintonia tra resa acustica convincente e prestazione musicale sul palco. Perché, bisogna ammetterlo, la band ha provveduto a fare uno show assolutamente all’altezza delle aspettative, con Michele Luppi sempre incisivo con la sua proverbiale voce, e le melodie sostenute e cariche di ottimo metal della band sempre vivaci e colorate, a cui non è mancata di certo la forza e l’aggressione agli strumenti da parte soprattutto di Marco Lazzarini alla batteria e di Gabriele Ciaccia alle tastiere. La location purtroppo ha i suoi limiti e non ha giovato sulla performance complessiva della band, rendendo i suoni il più delle volte confusi e difficili da percepire per chi non ha orecchie molto attente. Nonostante ciò, brani come “Lie To Me” ed altri loro successi accendono il pubblico in maniera dirompente, perché suonati molto bene e con grande carica emotiva. Proprio durante la loro performance, fuori dalla villa il cielo si è squarciato, dando quindi ragione agli organizzatori ed accentuando il fatto che questo è un festival in cui una piccole dose di sfortuna non è mai mancata. Il tutto però è compensato dal fatto che sia i Secret Sphere, che molte delle band che vi hanno partecipato, hanno dato prova di grande professionalità e buona qualità musicale, per un evento che ha catalizzato un buon numero di persone e che sicuramente riceverà buoni numeri anche in futuro.

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