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BEHEMOTH: I Loved You at Your Darkest

data

10/11/2018
60 + 44


Genere: Black, Death Metal
Etichetta: Nuclear Blast
Distro:
Anno: 2018

Capitolo discografico nuovo di zecca per i polacchi Behemoth. Capitanati da Nergal, sempre più fulcro dell’attenzione mediatica del metal estremo, perlomeno di quello legato più al “gossip” che alla musica, sciorinano il loro undicesimo album. Passati quattro anni dal predecessore, 'The Satanist', una serie infinita di Ep, live album, singoli e compilation nel mezzo, hanno tenuto alta l’attenzione sul progetto. 'I Loved You at Your Darkest' lascia spazio maggiormente alla atmosfere, focalizzandosi solo a tratti sull’intercedere più black e death, ma incentrando l’attenzione sulla teatralità e sulle sfumature, piuttosto che sulla classica onda d’urto vista anche nel recente passato. A parte qualche fantasioso intermezzo e cambio di ritmo, le strutture ed i riff di chitarra si ripetono ciclicamente nel disco. L’atteggiamento di Nergal ha, in questi anni, fatto pensare ad una mancanza di idee di fondo, non a caso le foto con annessa tunica papale, in stile Ghost, possono far riflettere. Marketing e slogan hanno soffocato la vena creativa dei polacchi? Sicuramente il full-length non ha nulla a che vedere con la creatività degli album passati. In tal senso, era davvero complicato ripetersi e forse questo tentativo di diversificare, rendendo più riflessivi taluni tratti, potrebbe essere un tentativo di evolvere da parte dei Behemoth. In concreto però i risultati non sono stati dei migliori, poiché l’evanescenza e la prevedibilità sia delle espressioni più death/black, sia delle suite atmosferiche, lasciano l’amaro in bocca. Non mettiamo in dubbio la qualità tecnica degli artisti, ma il susseguirsi così vuoto e intuibile delle varie sceniche non può che spegnere gli entusiasmi. Qualche lucente assolo di chitarra ed il martellare dell’ottimo Inferno, non sono sufficienti a far gridare al miracolo. Le voci di bambini in preghiera, le coralità e le melodie, sono vere e proprie banalità, una sorta di estremizzazione dei già sopra citati Ghost, quasi a voler a tutti i costi piacere anche a chi non ama il genere. Niente di male a voler cambiare direzione, ma la pochezza del risultato e il sentore di vuoto che aleggia in 'I Loved You at Your Darkest' è palese. Lo stesso titolo del full-length pare un presagio per chi ha seguito la band e l’ha amata in passato al massimo della propria oscurità: ora, di quella virulenza, se ne sente davvero poca. Auspichiamo Nergal si concentri di più in futuro sulla sostanza, piuttosto che sulla forma, anche se il personaggio pare ormai “contaminato” dalla risonanza mediatica. L’ossequiosa cerimonialità di questo disco, con annessi arrangiamenti sinfonici e banali ritornelli, ci lasciano con un’amarissima sufficienza. 

A cura di Stefano "Thiess" Santamaria - Voto: 60


Dopo quattro anni ritornano i Behemoth con quello che è il loro undicesimo full lenght. I nostri hanno compiuto un percorso musicale che li ha portati da essere esponenti di un black metal puro, a diventare una delle ibridazioni black/death piu intense ed in vista di tutta la scena. In occasione della pubblicazione precedente, 'The Satanist', si era già registrata una parziale virata stilistica che, pur suscitando alcune critiche circa l´inconsistenza e la commercializzazione della proposta, era stata accolta nel complesso con favore sia da critica che da pubblico. Ora si ha l´impressione che il passo in una direzione di scarsa integrità artistica sia stato troppo lungo. L´esordio dell´album non sarebbe neanche male, anche se siamo lontani dalla meraviglia che i Behemoth seppero suscitare tra 'Satanica' e 'Demigod', ormai tre o quattro lustri fa: la intro con cori infantili ben si addice alla proposta, come in un film horror, e il primo vero brano, "Wolves Ov Siberia" è senza dubbio il migliore. Non sorprende nè innova, ma si piazza in un ambito piu che accettabile per una produzione dei polacchi. La successiva "God = Dog", titolo che comincia a far cadere le braccia per la sua desolante banalità, ancora non fa perdere del tutto le speranze: vengono riproposti i cori dell´introduzione e il pezzo, violento e tambureggiante, funziona, se si escludono gli assoli di chitarra che, sventuratamente, fanno pensare ai piu recenti, meno ispirati Arch Enemy. Sarà purtroppo una caratteristica ricorrente delle parti soliste di chitarra. I tre pezzi successivi, che ci conducono a metà lavoro, sono un vero trittico dell'orrore: tra i già citati assoli, cori ecclesiastici che dominano uno dei suddetti brani e parti quasi death 'n' roll si tocca il fondo. La seconda metà non è al desolante livello dei tre brani precedenti: "Angelus XIII" ci torna a ricordare quale potente ibridazione black/death i Behemoth hanno, se non inventato, per lo meno portato alla luce dei riflettori. Ma è pur sempre un pezzo mediocre nel suo genere; anche la outro "Coagvla" ha un incedere militaresco interessante, ma è troppo poco per salvare questo lavoro che, nella seconda parte, ha in "Sabbath Mother" il suo punto piu basso non molto distante dal fondo toccato poco prima. Le parti genuinamente "Behemoth" sono troppo lontane dal potenziale di questa band per poter redimere tutto ciò che di posticcio ed involuto è qui presente.

A cura di Edoardo Scaramuzzino - Voto: 44

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