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SET IN MOTION

Interessante uscita questo 'Like Sand, Through Our Fingers', mini d’esordio dei Set In Motion. Una band che sembra provare una smisurata passione per il math-rock, il tutto condito da hardcore e venature post. Abbiamo incontrato uno dei membri fondatori, Mattia.
 
Per introdurre il vostro Ep ho citato label come Standby, Basick e Sumerian. Etichette che hanno roster con band molto attinenti alla vostra proposta, tecnicamente dotatissime e artisticamente ispirate. Siete d’accordo con questa visione delle cose? Come vi descrivereste? Quelle nominate sono tutte etichette che hanno sotto di loro band da paura e che seguiamo con grande attenzione, anche solo per “imparare”, per capire quali sono le nuove frontiere dell’ascolto e dell’esecuzione: poi, voglio dire, i Dillinger Escape Plan sotto Sumerian hanno pubblicato un disco patrimonio dell’umanità, per quel che mi riguarda. Non me la sento di definirci “artisticamente” ispirati e tecnicamente “dotatissimi”: quelle sono altre band. Inoltre siamo di quelli che nella “tecnica” di per sé ci trovano poco o niente. Ci sono milioni di band che suonano da Dio e tecnicamente ci danno le piste: poche band invece riescono a cambiarti la vita. E pure con gli strumenti scordati o senza basi di vario tipo o col cantante senza voce! Ecco noi vorremmo essere una di quelle band, almeno che faccia sentire noi stessi a quel modo.

Like Sand, Through Our Fingers' è un EP che incuriosisce parecchio, a iniziare da titolo del disco e artwork. Volete raccontarci tutto di entrambe le cose? Il titolo è un verso del singolo “Last Exile” in uscita con l’EP. Quello che ci è piaciuto della frase in sé, per sceglierla come titolo, era che rende perfettamente l’idea di “nostalgia”. Credo sia la sensazione che più insistentemente rimane finito l’ascolto: una nostalgia violenta e piena di rancore a volte. Mi piace credere che a volte sia anche sensuale, a volte solo la sensazione che qualcosa di bello sia semplicemente finito e lo spazio che lascia per quello che ti aspetta.Per l’artwork non sapevamo nemmeno che pesci pigliare. L’unica cosa chiara era la scelta cromatica: non volevamo nulla di scuro e di spento e non volevamo triangoli o compassi. Istintivamente eravamo tutti d’accordo sul blu, onestamente non so perché: ne abbiamo parlato e non saprei ancora spiegarmelo. Poi una volta trovato il titolo il chitarrista ha fatto la magia ed è riuscito a mettere in copertina la mano della sua ragazza Arianna, che ci fa da fotografa a ogni live.

Brani come "Fury on me" e "The Sleeper Must Awaken" credo rappresentino bene il vostro stile. Volete parlarci di questi due brani? Quali altri sentite più a cuore? Non saprei dire quali siano i pezzi più rappresentativi o quali lo siano più di altri: abbiamo cercato di dare a ognuno dei pezzi qualcosa di speciale e di diverso, anche solo un riff o un accordo o una parola del testo, quindi per noi scegliere è davvero difficile. Ogni tanto proviamo a fare la top five dei riff migliori del nostro EP, come i liceali lo fanno con le tipe della scuola, e, come in quel caso, finisce sempre a caso tirando, facendo paragoni forzatamente nonsense. Sicuramente quello più “nuovo” in linea temporale è quello più rappresentativo anche solo a livello emotivo per noi: quindi ora direi “Unashamedly”. Ogni volta che arriva il ritornello partono i cori da stadio!

In molti parlano di voi come progressive metal, altri djent, altri ancora mathcore. Viste le varie definizioni la cosa migliore è chiedere a voi stessi quale stile sia il più consono al vostro progetto? Non ci sentiamo minimamente prog, ma proprio per nulla: non abbiamo pezzi lunghi, non abbiamo soli e la parte strumentale raramente prende il sopravvento su quella vocale. E alla fine i nostri pezzi sono proprio strofa/ritornello, semplici semplici. Certo qualche ritmo è più incasinato di altri e non sempre andiamo in 4/4, però mi sembra ben poco per definirsi prog. Lo stesso vale per il Djent, forse sì, in alcuni casi possiamo relazionarci con quel tipo di estetica. Ma nemmeno così tanto. A noi piacerebbe essere math ed essere hardcore, però. Facciamo quello che possiamo.

Rispetto a molte band attinenti al vostro genere bisogna ammettere che siete riusciti a rendere la proposta molto più varia ed efficace attraverso robuste dosi di rock e un cantato ispiratissimo. Come si arriva a ottenere una tale sinergia all’interno di una band? E come sono nati i brani dell’EP?
Beh, intanto grazie! Bisogna ascoltare davvero tanta musica e ascoltarla prima come chiunque la ascolterebbe e poi da “musicisti”, analizzando e criticando, prendendo anche delle decisioni su cosa ci piace e cosa no di quello che sentiamo, su cosa ci risuona o meno, tipo “io in quel pezzo dei Periphery avrei fatto un giro in più o nel pezzo degli Emarosa avrei modulato a una tonalità diversa sullo special”. Ognuno di noi propone sempre cose nuove da ascoltare, e sempre le ascoltiamo con grande attenzione, cercando di capire cosa ci ha visto l’altro anche se poi non ci piacciono o non ci interessano più di tanto. Quello che cerchiamo di fare noi, e quindi “come nascono i brani”, è cercare di dare la nostra versione di quello che ci piace, tipo: “I Dillinger la fanno così questa cosa e va bene, ma noi? Come la faremmo?” ecco. Poi sul “dove” sono nati i pezzi, beh, sul divano con la chitarra, old school.

La scelta di uscire con un EP vanta due correnti di pensiero ben distinte: chi pensa che sia una cosa intelligente dando la possibilità alle band di presentarsi con un numero contenuto di brani, altri che pensano che sia solo un modo per bruciare brani che sarebbero potuti finire all’interno di un full. Cosa vi ha spinto verso questa scelta? Avevamo fretta di far uscire qualcosa da poter far ascoltare che durasse più di due canzoni. Riguardo al “bruciarsi i brani” mi sembra una scempiaggine, che riguarda chi ha paura di non avere più idee: spero di non avere più bisogno di questi pezzi a breve per avere una proposta musicale interessante e accattivante.

In Italia come vanno le cose musicalmente parlando a vostro avviso? Ci sono tante ottime nuove band, chi sentite più vicini a voi? Sì davvero ci sono e molte le conosciamo pure di persona, quindi sappiamo anche chi sono quelle davvero ottime e quelle che sono solo chiacchere e sweep picking. Musicalmente in realtà non ci sentiamo vicino a nessuno, perché le band che sono un po’ più pop come noi ci guardano con sospetto considerandoci “tecnici” (lo giuro! Faccio fatica a non ridermi addosso all’idea che qualcuno ci veda così) e quelli “tecnici” ci guardano con sospetto per le melodie “miaomiaomiao” e l’assenza di assoli eroici.

Parliamo di live: i brani di “Like Sand, Through Our Fingers” sono semplici da eseguire una volta calcato il palco? Come ha reagito il pubblico? Purtroppo, come diciamo sempre, bisogna davvero tener conto delle condizioni in cui suoni: se non ti senti o il posto “suona” male, non si capisce una mazza, suonare bene diventa veramente difficile oltre che davvero difficile anche per chi è lì ad ascoltare, non riuscendo nemmeno a distinguere i suoni in maniera chiara. Quindi finché i “palchi che calchi” non smettono di fare troppo schifo, è difficile mantenere alta la qualità. Certo a quel punto cominci a lanciarti giù dal palco e scapocciare o a farti abbeverare con qualunque drink alcolico che la gente di fronte a te continua gentilmente a passarti e preghi dio di buttare fuori una nota intonata con la voce: true story, more than once. Alla fine deve essere una festa e deve esserci qualcosa che ti smuova: può essere un accordo pulito con la nota di voce giusta, mentre tutti fermi immobili o può essere il peggio casino.

Sempre parlando di on the road: vi state già spingendo anche all’estero o è tutto in fase di definizione? Purtroppo l’anno scorso delle tre date che avevamo all’estero siamo riusciti a farne solo una, dovendo continuamente cercare chi riuscisse e avesse voglia di suonare ‘sti pezzi, o anche solo chi sopportasse me e Fede. Per il resto, sì, abbiamo in programma di suonare molto e presto fuori dall’Italia e vedere cosa succede.

Il videoclip di "Fury on me" è molto interessante. Volete parlarcene? Veramente non saprei che dire, in realtà era nato molto più complesso e perfino con una intricatissima storyline dove c’era una donna bellissima che aveva una parte con me e poi… E poi alla fine è un semplicissimo playback, tra l’altro non compariamo nemmeno mai assieme perché all’epoca il batterista era anche il videomaker quindi eravamo veramente limitati. Certo se uno arriva alla fine del video senza avere il mal di mare o suicidarsi, compare la scritta “per Fabrizia” e quella è la storia più interessante.

Quali band state ascoltando ultimamente? Ascoltiamo tutti cose molto differenti. Io mi sto dedicando a un sacco di indie brit e american. Gruppi che su “come si scrive una melodia” hanno da dire assai e anche un sacco di questa nuova elettronica inglese come Lapalux, Fka Twigs, James Blake che hanno sempre questa sfumatura sexy porno che in qualche modo vorrei riuscire a ricalcare nel hardcore con i Set In Motion.

I migliori 5 dischi di questa prima parte di 2015? Sul 2015 mi trovi ancora molto impreparato, ma se esce il disco degli Amia Venera Landscape, cose per cui prego costantemente, credo che il resto del 2015 passerà in sordina. Per adesso ti posso dire che i Veil Of Maya mi hanno convinto molto con la svolta “miao”.

Come siete arrivati alla firma con This Is Core Records? Tramite Fusix Studio. Eravamo lì a registrare l’EP e si parlava di chi poteva filarsi di pezza questo lavoro e Andrea Fusini ci ha consigliato di farlo sentire a This Is Core e che in italia era uno dei pochi che poteva capire quello che stavamo facendo. E così è stato. Senza Fusix molto poco di tutto questo sarebbe potuto accadere.

Quanto tempo impiegate individualmente sui vostri strumenti? E quanto tempo dedicate invece alla band? Io provo a suonare tutti i giorni ma dipende dai viaggi e dagli impegni, dal Conservatorio. Certo quando preparo un concerto, suono anche quattro ore al giorno di cui una solo di tecnica: da quello che mi dicono gli altri è abbastanza così per tutti. Purtroppo la lontananza ci impedisce di lavorare costantemente assieme e quindi dobbiamo lavorare molto individualmente.

Siete già al lavoro su nuovi brani? Cosa dovremo attenderci in futuro sul fronte discografico? Ci sono già alcune idee almeno per tre o quattro brani ma stiamo ancora decidendo da che parte girarci prima di fare qualunque cosa. Vogliamo fare di più: le melodie, non lo so, “più melodie” i ritmi “più ritmi”; in generale, osare di più, essere più avventurosi. Certo non si può tornare indietro…

A voi l’ultima parola! Grazie per questa opportunità! Invito tutti a venire ai nostri live e vedere che quello che ho detto corrisponde a quello che facciamo.

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