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GOD IS AN ASTRONAUT

Ormai sembra diventata una piacevole abitudine ritrovarsi, a luglio piuttosto inoltrato, tutti insieme a Milano (e più precisamente al Circolo Magnolia) a celebrare le gesta di una tra le post-rock band più significative di tutti i tempi, gli irlandesi God Is An Astronaut. All’aria aperta, circondati dagli alberi e con un clima mite che risulta godibile, prende vita un evento che negli ultimi anni (può essere una casualità fino ad un certo punto) ha visto protagonista questa band che, album dopo album, mantiene intatta la propria capacità di realizzare sogni in musica. Nella serata di giovedì 11 luglio, il tutto viene introdotto dalla performance degli italiani Platonick Dive, di recente inseriti nel roster di Antigony Agency e che sono tornati con il buon album ‘Social Habits’, dove racchiudono in sé post-rock e spunti elettronici di gradevole fattura. Queste soluzioni sono state trasmesse anche sul palco del Magnolia, con un riscontro discreto da parte del gruppo di persone che si erano già assiepate davanti al palco, mettendo così a curriculum uno show di supporto a dei pilastri del genere che sicuramente, grazie anche all’apporto della loro agenzia di promozione, li metterà in mostra con maggior fiducia.

Nonostante la risposta del pubblico non sia proprio delle più soddisfacenti, ci si prepara ad assistere ad un effluvio di note e di disegni che ci fanno viaggiare con la mente. La band capitanata dai fratelli Kinsella, supportati dal loro personale impianto luci che crea, come sempre, illuminazioni ad hoc sempre suggestive, introduce il proprio set con un paio di brani dell’ultimo album ‘Epitaph’, che fanno risaltare, oltre all’aspetto emozionale, anche una poderosa dose di rock che non ci lascia indifferenti. A seguire inizia quello che è, a tutti gli effetti, un ‘best of’ dei God Is An Astronaut, con brani quali “The End of The Beginning”, e soprattutto alcuni dei brani più significativi del capolavoro ‘All Is Violent, All Is Bright’, tra cui spiccano la fantastica title-track, la sognante “Remembrance Day”, e una “Suicide By Star” che ci capovolge emozionalmente, lasciando in noi un effetto lenitivo che ci solleva e ci rafforza. Tutti questi brani sono stati accolti con il dovuto calore, che viene elevato ulteriormente quando propongono “From Dust To The Beyond”, e il loro must “Echoes” con la sua moltitudine sonora ad invadere i nostri sensori. Dopo il loro rientro e dopo i ringraziamenti di Torsten Kinsella verso il pubblico, ringraziandolo del costante supporto durante questi anni, la band conclude il loro indiscutibile concerto con altre due perle, quali “Helios | Erebus” e “Fireflies And Empty Skies”, a suggellare il viaggio musical-spaziale del quale i God Is An Astronaut sono i degni pionieri e sostenitori.

Non paghi dell’evento appena trascorso, si è voluti fare la doppietta, questa volta andando a visitare la bellissima cornice del Parco di Villa Ada in Roma, un ampio parco naturale al riparo dal caos cittadino romano, dove percorsi all’aria aperta, specchi d’acqua e momenti di relax si intrecciano in un’atmosfera invidiabile. A completare il quadro, la rassegna musicale ‘Villa Ada Incontra il Mondo’, in cui molti artisti nazionali ed internazionali si riuniscono in un contesto dove musica, natura ed ambiente creano una connessione artistica eccellente. Abbiamo voluto assistere anche alla serata del 12 luglio non perché siamo ossessionatamente innamorati dei God Is An Astronaut, ma perché, assieme a loro, suonano altre due band che non hanno bisogno di presentazioni così esaustive per il genere proposto. Iniziano la serata, quando ancora il sole non è completamente tramontato e quindi assaporando ancora la visuale della flora alberata circostante, i beniamini di casa Klimt 1918, davanti ad un numero già ben nutrito di persone, molte delle quali preferiscono assistere al set comodamente seduti. E questa non è stata affatto una cattiva idea perché, nella mezz’ora a loro disposizione, si è potuto assistere con una certa qualità ad un set dove la band romana interpreta i brani tratti dall’ultimo doppio album ‘Sentimentale Jugend’ con grande scioltezza ed autorevolezza, supportati anche da una resa dei suoni all’altezza.

I Klimt 1918 non sono però i soli a rendere questa serata stupefacente. Dopo il concerto dello scorso aprile a Bologna, e la loro partecipazione al Rock The Castle al Castello di Villafranca (VR), hanno deciso di addentrarsi nel parco romano i giapponesi Mono, capaci con i loro vortici sonori e la loro intensa malinconia musicale  di essere tra le band post-rock più avvincenti in sede live. Anche loro avrebbero meritato, secondo noi, un minutaggio leggermente maggiore. Ciò non toglie che le loro creazioni musicali sul palco siano assolutamente da ovazione continua, a partire da “After You Comes The Flood”, tratto dall’ultimo, bellissimo album ‘Nowhere, Now Here’, con quel suo incedere graduale e costante che non lascia mai superstiti. Ormai si sa, quando la bassista Tamaki ondeggia vigorosamente con il proprio strumento, nei momenti in cui l’intensità tende ad aumentare, è un’emozione senza fine e ci lasciamo sempre trasportare da lei. Tamaki che diventa protagonista nel brano “Breathe” grazie alla sua voce incantevole e alla sua tastierina. Altro protagonista del set è il chitarrista ‘Taka’ Goto, che sulle note della loro immortale “Ashes In The Snow” ci avvolge con il suo consueto calore, facendo vibrare le proprie corde e creando una sensazione di catarsi assoluta, prima della conclusione tellurica con “Com(?)”, distribuendo autentici muri sonori che sconquassano i corpi dei presenti, i quali hanno goduto appieno di quest’ennesima esperienza sensoriale che solo band come i Mono riescono a creare.

Rispetto alla serata del Magnolia, questa data romana segna (come già anticipato) un nutrito pubblico, e molta gente si trova già assiepata davanti al palco per assistere allo show dei God Is An Astronaut, che si presenta subito esplosivo e coinvolgente, ricalcando nella parte iniziale la stessa setlist dello show milanese, e con una resa acustica all’altezza della situazione. Lo show va via liscio come l’olio, e tocca picchi emozionali di alto spessore quando vengono proposti alcuni brani tratti da ‘All Is Violent, All Is Bright’, come ad esempio l’immensa “Forever Lost”, una delle poche modifiche rispetto alla setlist precedente, in cui le tastiere di Robert Murphy echeggiano come una pioggia rilassante e la voce sintetizzata di Torsten Kinsella riempie la location, diventando un tutt’uno con gli elementi naturali che vi circondano. “Suicide By Star” è l’ennesima scintilla post-rock che cattura tutti, e dopo “From Dust To Beyond” la band si concede una pausa, seguita dai ringraziamenti di Torsten al pubblico romano e dalla conclusiva “Helios | Erebus”, che conclude uno show che sarebbe potuto durare qualcosa in più, per via di leggeri ritardi rispetto alla timeline che, purtroppo, ha causato il taglio di brani come (in maniera ipotetica) “Echoes” e “Fireflies And Empty Skies”. Poco importa, la band irlandese porta a casa un altro show memorabile, che segna ancora di più il loro ruolo di assoluta garanzia nel panorama musicale europeo, un punto di riferimento sicuro al quale appoggiarsi per non sbagliare mai.

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