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GODS OF METAL 2006 III GIORNO

[CRUCIFIED BARBARA] L'apertura della giornata del 3 giugno, divisa (non del tutto equamente tra acts di pura estrazione power, e nomi più o meno cardine della scena hard) è affidata alle scandinave Crucified Barbara, band tutta al femminile di cui ho potuto recensire, poco tempo addietro, il nuovo singolo "Play Me Hard", song che riapriva le porte dell'attenzione mediatica sulle quattro rockers svedesi dopo il loro piacevole debut cd "In Distorsion We Trust". L'esibizione delle grintose fanciulle, ovviamente impostata su parte dei brani dell'appena citato cd (cui è stato affiancato anche il nuovo ed appetibile singolo), ha messo in mostra un gruppo affiatato e voglioso di dire la propria prima che la vera e propria ondata power potesse prendere il sopravvento, il tutto grazie ad una buona attitudine da palco e ad una discreta tecnica esecutiva, la quale ha potuto ben accompagnarsi con il tipico stile adrenalitico delle proprie composizioni. La risposta di un pubblico ancora sonnolento ed un ritorno audio di scarso valore (che ha purtroppo accompagnato i primi gruppi della giornata) non ha facilitato di certo la breve esibizione delle Crucified Barbara, che ciò nonostante hanno tirato dritte per la loro strada proponendo un concerto godibile e graffiante sin dai primi minuti. Una buona intro per la giornata in questione, che raccoglierà nell'esibizione dei veterani Def Leppard e Whitesnake il vero punto di massima goduria per tutti gli hard-rockers accorsi all'evento. [Zorro11] [SONATA ARCTICA] Esordiscono sul palco del Gods Of Metal i collaudati Sonata Arctica, combo finnico autore di un pregevole Power Melodico e con già quattro album all'attivo. La band apre con "Misplaced", opener del nuovo disco "Reckoning Night", e l'atmosfera sotto al palco è subito calda grazie ad un già folto pubblico. Come di consueto prova ineccepibile dei cinque finlandesi con il solo Kakko alla voce in difficoltà sui passaggi più impegnativi ma senza mai sforare nel ridicolo, come accaduto nel primo live della band "Sings In Silence". La setlist presentata è breve ma di tutto rispetto con brani tirati e di grande presa ad eccezion fatta per "My Land", sempre eseguita dalla band in sede live ma che cede il passo a composizioni di maggior spessore tralasciate per quest'occasione. Chiusura affidata al classico duo formato da "Don't Say A Word" e dall'indiavolata "The Cage" con la quale la band si congeda da un pubblico entusiasta, ancora contento di vedere la band all'opera nella sua terza calata italica nel giro di due anni. I Sonata Arctica sono già una grande realtà del panorama Power attuale, avanti così! [ColdNightWind] Misplaced Black Sheep Blinded No More 8th Comandement My Land Don't Say A Word The Cage [EDGUY] Ed ancora una volta il già immortale "Ladies And Gentleman, Welcome To The Freakshow!" ci introduce ad una nuova esibizione della band di Sammet e soci. Forti del successo degli ultimi due dischi gli Edguy ritornano a calcare il palco del Gods Of Metal dopo diverse edizioni di assenza ma sembra proprio che sul palco ci sia una band diversa quest'oggi, capitanata da un sempre strepitoso frontman che ne combina di cotte e di crude. E così, introdotta dalla frase simbolo di "Hellfire Club", la band di Fulda attacca con la rockeggiante "Lavatatory Love Machine", singolo trascinante che manda subito in visibilio il pubblico. Quando Tobi fa il suo ingresso sul palco è una scheggia impazzita: saltando qua e là il ragazzo terribile calca il palco nella sua totalità durante l'intera esibizione arrivando fino al punto d'inscenare un avventurosa arrampicata sull'impalcatura a bordo palco, con una discesa decisamente più prudente. Segue "Babylon", brano di punta degli Edguy qui in Italia fin dallo show di due anni fa quando venne tanto acclamata dal pubblico anche se non presente in scaletta, per poi lasciare spazio a due deliziose suite come "Tears Of A Mandrake" e la nuova "Sacrifice", tra le migliori del nuovo "Rocket Ride". Gran finale riservato alla classica "Vain Glory Opera", eseguita con la forte partecipazione del pubblico e con un simpatico balletto intrapreso dal trio Ludwig/Sauer/Exxel che sembra turbare Sammet il quale prudentemente si allontana dai tre. Ancora una volta la miscela esplosiva degli Edguy ha colpito, buona musica accompagnata dalle simpatiche trovate della band alla quale l'idea di mettersi in mostra e di stupire sembra non dispiacere affatto. Non tra i migliori di oggi, ma impareggiabili nel loro genere. [ColdNightWind] Lavatory Love Machine Babylon Tears Of A Mandrake Sacrifice Mysteria King Of Fools Vain Glory Opera [ANGRA] Ero molto curioso di assistere a una performance live degli Angra, per capire il valore effettivo del cantante Edu Falaschi (su disco convincente solo a tratti) e per godere dell'indubbia abilità tecnica dei chitarristi Kiko Loureiro e Rafael Bittencourt. Si parte con "Spread Your Fire", primo pezzo dell'ultimo disco della band brasiliana; gli orribili suoni, purtroppo, penalizzano non poco l'ascolto, ma per fortuna poi si assestano su un livello quantomeno decente. Si capisce subito, però, che per Falaschi non è proprio giornata: non riesce a coinvolgere e fatica in modo terribile per riuscire ad arrivare agli acuti proposti nelle varie canzoni. Se sui pezzi dei "nuovi" Angra ("Angels And Demons", "Rebirth", "Nova Era") il buon singer in qualche modo si salva, su quelli dell'era Matos rasenta il ridicolo: "Nothing To Say", "Carolina IV" (proposta con una splendida introduzione percussionistica) e "Carry On" vengono letteralmente polverizzati dalla disastrosa prova del cantante brasiliano. Ed è un peccato, perchè tutto sommato gli altri musicisti fanno il loro dovere (sia pure non esaltando); ma un vocalist del genere costa caro agli Angra, che si meritano una bocciatura secca e senza appello. Decisamente la peggiore esibizione di questa terza giornata del Gods. Delusione. [Raistlin] Spread Your Fire Waiting Silence Nothing To Say Carolina IV Angels And Demons Rebirth Carry On Nova era [GAMMA RAY] Nell'assolato pomeriggio milanese salgono sul palco i GammaRay di Kai Hansen, icona del Power Metal, membro fondatore dei primi Helloween, musicista che può vantare un'infinità di collaborazioni con miriadi di gruppi… insomma, se non sapete chi sia "il Kai", mi chiedo dove siate stati negli ultimi 21 anni. La "squadra" è composta dai soliti inossidabili: Henjo Richter alle chitarre, Dirk Schlächter al basso e Daniel Zimmermann alla batteria, pronti a trascinare il pubblico in 55 minuti di delirio puro sotto un sole impietoso. Il caldo è massacrante, ma già dall'opening "Gardens Of The Sinner" si capisce chiaramente che tanto i quattro tedesconi quanto i fan sono decisi ad ignorarlo e scatenarsi come folli, con cori cantati a squarciagola su entrambi i fronti ed un pogo duro e convinto a sottolineare che il pubblico c'è, e vuole che si sappia. Pochi pezzi per dimostrare ciò che si sa fare: la scelta è caduta su estratti dagli ultimi tre album, una fuga (immancabile) a "Land Of The Free", ed un medley di pezzi della "Helloween Era". Questi ultimi non sono una grande novità, è risaputo che Kai spesso e volentieri una punta di nostalgia ama metterla nei suoi show, ma è la scelta di "Ride The Sky", anthem immortale che in molti rimpiangono di aver sentito ben poche volte cantata da Hansen, e soprattutto di "Future World", pezzo immancabile in ogni live act degli Helloween, a palesare come, al di là delle belle parole, una certa dose di astio sia rimasta tra le due formazioni. L'impegno che ci mettono i Rayz è impressionante, ed il gruppo sparisce completamente alla vista a causa del polverone sollevato dal pogo selvaggio che si è scatenato: una vera e propria sfida lanciata alle Zucche di Amburgo, che si esibiranno sullo stesso palco solo 2 ore più tardi. Uno spettacolo devastante, che ha confermato le ormai arcinote capacità live di Hansen e compagni, oltre ad evidenziare una gran voglia di divertirsi e divertire. Grandiosi. [Nyarlatothep] Gardens Of The Sinner Man On A Mission New World Order Fight Blood Religion Heavy Metal Universe Ride The Sky - Future World - I Want Out Rebellion In Dreamland [STRATOVARIUS] Un ulteriore conferma per spazzare via le malelingue per gli Stratovarius quest'oggi. Completamente ristabilita nel corso dello scorso anno la band era tornata a dimostrare il suo potenziale nel convincente show di Novembre ed anche quest'oggi i finlandesi non hanno mancato all'appello. Partenza affidata al duo "Hunting High And Low" e "Paradise", grande esclusa della scorsa esibizione, che getta luci e ombre sulla prestazione del vocalist Timo Kotipelto non nella sua giornata migliore, anche se pare si sia esibito da febbricitante. Uno show coraggioso per la band capostipite del Power Metal melodico, che alterna l'esecuzione dei pochi grandi classici eseguiti come "Speed Of Light" e "Kiss Of Judas" a brani di buona fattura ma meno noti come "A Million Light Years Away" o "Phoneix". Buco nell'acqua invece per l'unica estratta da "Stratovarius", la seppur bella "United" non suscita le stesse toccanti emozioni dello scorso Novembre quando venne eseguita come accompagnamento ad un delizioso filmato celebrativo proiettato sul maxi schermo presente. Chiusura affidata a, pare persino scontato dirlo, "Black Diamond" ed è già tempo per i saluti. Il pubblico quest'oggi può dirsi soddisfatto della bella prova degli Stratovarius anche se con la sua punta di diamante (nero) non al top della forma. Gli Stratovarius possono ancora gridare "Presenti!" all'appello, ma adesso è necessario dimostrarlo con un nuovo vero album. [ColdNightWind] Hunting High And Low Paradise A Million Light Years Away Speed Of Light Kiss Of Judas Eagleheart United Phoneix Black Diamond [HELLOWEEN] Kai Hansen, si sa, a volte è proprio un simpaticone. L'esibizione dei suoi Gamma Ray ha compreso un super medley degli Helloween, e considerata l'ottima forma con la quale il buon Kai si è presentato sul palco, è stata una specie di sfida lanciata alle Zucche teutoniche. Ce n'era abbastanza per far tremare le gambe a Deris e compagni, che però hanno raccolto il (metaforico) guanto di sfida e hanno sfoderato una prestazione con i controfiocchi. L'apertura, affidata alla lunga "King For A 1000 Years", ci mostra una band tonica, motivata, vogliosa di suonare e di spazzare via le critiche ricevute recentemente. La voce di Deris c'è, tiene anche sui vecchi pezzi, e quanto a carisma l'ex cantante dei Pink Cream 69 non invidia niente a nessuno. La scaletta alterna brani nuovi e vecchi, qualche chicca ("Mr. Torture", "If I Could Fly"), gli immancabili classici ("Future World", "Eagle Fly Free", "Dr. Stein"). Il giovane chitarrista Sascha Gerstner sta diventando sempre più essenziale nell'economia della band, e si integra perfettamente con Michael Weikath, che degli Helloween è il co-fondatore. Grosskopf si sbizzarrisce come sempre con il suo basso, ma la vera sorpresa è Dani Loeble, che dietro le pelli dimostra una volta di più di essere un'incredibile macchina da guerra, che unisce forza e precisione in modo impeccabile. E' lui la marcia in più di questi Helloween, lui che devasta la batteria e aggiunge al suono degli Helloween una potenza mai vista. Insomma, gli Helloween mettono a ferro e fuoco il palco del Gods, e il pubblico mostra di gradire. Chi li aveva dati per morti si deve ricredere: ancora una volta, le Zucche di Amburgo hanno saputo rinascere dalle proprie ceneri con uno show magistrale. Up The Pumpkins! [Raistlin] King For A 1000 Years Eagle Fly Free Hell Was Made In Heaven A Tale That Wasn't Right Mr Torture If I Could Fly Power Future World Mrs God Dr. Stein [MOTÖRHEAD] E Lemmy venne, e dichiarò guerra. Di nuovo. Decisamente uno che non si stanca mai di combattere. Come suonino i Motörhead è ormai noto: arrivano alzano i volumi in maniera paurosa, sparano a zero sul pubblico una serie di pezzi intramontabili, e se ne vanno dopo aver fatto terra bruciata. Gli Attila dell'Hard Rock più massiccio che si possa concepire anche questa volta hanno dato spettacolo, pur nella loro immobilità, pur nella ripetitività della scaletta. Sono i Motörhead, e sono venuti per prenderci a calci nel culo (cit.). Ed è quello che fanno ogni maledettissima volta che risalgono su di un palco, il che tra l'altro è incredibilmente spesso: terremoto. Questa volta ho temuto. Avevo deciso di sfruttare l'inizio del loro concerto per cenare senza code chilometriche agli stand alimentari (in fondo, chi mai si perderebbe i Motörhead?), ed ho avuto una raggelante sorpresa: più di mezzo idroscalo stava facendo la stessa cosa. Ho seriamente temuto che Lemmy, Phil e Mickey stessero per sostenere un concerto per così dire "in solitaria". Mi sbagliavo: mai vista così tanta gente correre così in fretta verso il paclo, nel preciso istante in cui le prime note di "Doctor Rock" hanno iniziato a fendere selvaggiamente l'aria. Un vero e proprio fiume in piena si è riversato sotto il palco in forma di pubblico, urlando e spingendo e pogando e facendo tutto il possibile per scuotere l'idroscalo in profondità, per delirare tutti insieme sulle note di "Over The Top", "Ace Of Spades", "Metropolis" ed altri pezzi dalla carica al vetriolo. Immensi come sempre, Lemmy & co. hanno mantenuto la loro classica, immota statuarietà per tutto il tempo, lasciandosi andare a poche parole, pochi convenevoli: meno parole, più canzoni. Come sempre. Perché loro sono i Motörhead. E sono venuti per prenderci a calci in culo. [Nyarlatothep] [DEF LEPPARD] La visione dal vivo dei mitici leopardi inglesi, assenti addirittura da ben dieci anni dal suolo italiano, rappresentava per il sottoscritto uno dei classici appuntamenti della vita, vuoi perché la forzata e sofferta assenza al loro concerto del 1996 a Milano mi costrinse a rimandare ulteriormente la possibilità di assaporare finalmente i loro grandi classici dal vivo, vuoi perché iniziavo a temere che le loro ultime vicissitudini discografiche li avrebbero allontanati dal bel paese nel più stretto giro di tempo, essendo la penisola italiana uno dei primi luoghi snobbati dai grandi artisti in tempi di propria magra musicale. Entrato nella zona "Under-palco", il tutto grazie al mitico braccialettino del potere (una sorta di arma capace di fare invidia alle armature dei cavalieri dello zodiaco), mi appresto, unitamente ai colleghi Poisoneye ed Emo, ad assistere ad un'esibizione di inarrivabile caratura artistica, dettata da una band ancora totalmente in palla nonostante le tante primavere trascorse, e capace ancora una volta di riesumare nell'aria tutta la magia dei propri inossidabili ed immortali classici. Dopo aver svolto in apertura di concerto il giusto compitino di promozione del nuovo "Yeah!", del quale va citata una divertente riproposizione della briosa "Hanging On The Telephone", i Leps si apprestano a gettare sul pubblico presente un'autentica e devastante selezione di tutti i loro migliori classici, suonati con una perizia tecnica tipica dei soli professionisti, e contraddistinti dall'autentica e sbalorditiva qualità che solo i loro imitatissimi (almeno nel tentativo) cori riescono a possedere nel panorama hard che si rispetti. Il boato cade sull'Idroscalo all'apertura, con la mitica citazione "Do You Wanna Get Rocked?", della divertentissima "Let's Get Rocked", seguita a ruota dalle ineccepibili versioni di "Rocket", "Hysteria", "Animal", "Armageddon It", "Make Love Like A Man" (regalate al pubblico con una classe difficile da spiegare con le sole e vuote parole), mentre la parte più datata della carriera della band d'oltremanica, oltre alle celeberrime "Rock Of Ages" e "Photograph", viene rappresentata sbalorditivamente dalle inattese "High 'N' Dry (Saturday Night)" e "Let It Go", ripescate addirittura (con indescrivibile gioia dei loro fans più attempati) dal loro album del 1981 "High 'N' Dry". Anche il positivo "Euphoria" del 1999 non viene dimenticato dalla scaletta del concerto, grazie al gradevole incedere della ben accolta "Promises", mentre il classico bis di rito viene concesso unitamente all'attesisissima e sino a quel momento latitante "Pour Some Sugar On Me", la quale ha potuto mettere, nel migliore dei modi, la parola fine su un concerto che difficilmente sbiadirà in breve tempo dalla mia tutt'ora sorridente e felicissima memoria. Grandi Leps, inutile dire che avete regalato al sottoscritto una delle più profonde emozioni live che abbia mai potuto assaporare. [Zorro11] [WHITESNAKE] Certo che "subirsi" una mastodontica prestazione dei Whitesnake dopo quella precedente spettacolare dei Def Leppard è da vero colpo al cuore. Un finale di giornata che per chi scrive ha rappresentato La Giornata. Coverdale è andato oltre le aspettative impadronendosi della serata non solo per le sue doti vocali, ma anche per quelle di intrattenitore. Un vera è propria rock star di quelle che considerano ancora il calcare palcoscenici un momento a dir poco divino, senza risparmiarsi, un momento magico che si sottrae dal quotidiano, e si concede un passo verso l'immortalità. Mentre tu sei lì, stregato, privo di volontà e orchestrato da un maestro, un guru che ti indica la strada verso un posto migliore in cui vivere. E ti incammini con lui, non conta altro. Solo la musica che accompagna questa notte alle porte dell'estate, mentre l'albo del cielo, oltre alle stelle, si arricchisce delle luci lontane della città. Sotto questo impressionante scintillare, a conferma di quanto già si era intravisto nel recente DVD "Live In The Still Of The Night", il cui attuale tour sta supportando, il Serpente Bianco sfoggia una performance di altissimo valore artistico ed emozionale da sciogliere il sangue nelle vene. Adrenalina, scie luminose, energia, tantissima passione, interazione con il pubblico che in più di una occasione si trova quasi impreparato quando Coverdale più volte ne cerca la partecipazione. La sola intramontabile "Burn" posta in apertura della scaletta è indice di quello che la serata riserverà: Storia. Seguita da una soprendente quanto inattesa "Slide It In" in cui il grande singer inglese si esalta a dismisura lisciando, smanettando, sbattendo più volte l'asta del microfono in quella che si mostra una vera e propria ierofania, una manifestazione del sacro, una celebrazione del mito del cocker tutto sangue, sudore, lacrime e primordiale sensualità. La celebrazione del Rocker per antonomasia. Si susseguono tutti i classici, ma proprio tutti tranne, ispiegabilmente, "Bad Boys"(che poteva essere eseguita accorciando non di molto i lunghi assoli di Aldritch e Aldrige), ma è poca cosa al cospetto di uno show completo sotto ogni punto di vista ed aspettativa, fino al quasi scontato ma assolutamente rilevante fattore tecnico che ha presentato proprio Doug Aldritch e Tommy Aldrige sotto un riflettore più potente rispetto alla pur memorabile prestazione dell'intera band. E la voce di Coverdale? Immensa. I superlativi si sprecherebbero. Non ha quasi perso niente sia in potenza, sia in estensione, nonostante i 60 anni alle porte. E' tutto lì, sopra lo stage, racchiuso in quel pugno di minuti l'intramontabile, inafferrabile, inspiegabile senso di astrazione che combatte contro questo mondo di morti che alberga nell'anima di chi non è mai domo, e mai si accontenta, come se non esistesse altro che il caro, indomito, vecchio ma sempre giovane rock 'n' roll. Con Coverdale, stasera, ci siamo guadagnati un altro secolo di vita seppur destinati alla morte. Peccato per chi è rimasto a casa. Una preghiera per loro mentre noi ce la spassiamo. I'm sad to say it's time to go But, until we meet again along the road. Remember this on your journey home, When you hear the thunder roar you're not alone. We wish you well, we wish you well, In times of trouble may your hearts be strong. We wish you well, we wish you well, Until we meet again, We wish you well... [Emo]

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