You are here: /

METALITALIA.COM FESTIVAL

Uno degli eventi metal più riusciti negli ultimi anni sul suolo italiano vede all’organizzazione principale dei colleghi di stampa musicale, quale è la storica webzine Metalitalia.com, che in ogni edizione disputata all’interno del Live Club di Trezzo sull’Adda (MI) ha saputo portare il meglio del metal mondiale, attraversando i sottogeneri più disparati con l’obiettivo dichiarato di accontentare tutti, con il risultato di un apprezzamento pressoché unanime che ha coperto tutte le edizioni. A questa nutrita offerta musicale, si sono sempre affiancati elementi di complemento, primo fra tutti l’istituzione di un’apposita area meet&greet che ha permesso ai fans più accaniti di poter conoscere di persona le band preferite. Inoltre, l’allestimento di vari punti riservati alla vendita di innumerevoli dischi rock/metal, libri di settore e abbigliamento rirososamente a sfondo nero ha sempre permesso di instaurare una cuorsità sempre alta ed un girovagare continuo. Infine, l’ampia area ristoro e relax fuori dal locale per momenti di riposo e di agio per lo stomaco rende questo festival sempre più conviviale. Quest’anno il Metalitalia.com Festival ha voluto puntare su due giornate (più la serata di warm-up che ha visto protagonisti i Cripple Bastards e i Raw Power) incentrate su due temi ben distinti: la giornata di sabato 15 settembre dedicata quasi esclusivamente al power metal, dove hanno spadroneggiato davanti ad un pubblico gremitissimo band come Hammerfall, Rage, Grave Digger ed Elvenking; e quella di domenica 16 settembre (oggetto del presente report), dove il protagonista assoluto è stato il doom. E proprio in questa densa giornata desidero accompagnarvi.

In un orario assolutamente inconsueto per la loro figura ed il loro carisma, i torinesi Nibiru aprono la giornata domenicale del Metalitalia.com Festival. Nell’ampia cornice del Live Club si è potuto sentire al meglio il sound poderoso della ritual black metal band, il quale si è mantenuto godibile nonostante i loro consueti volumi poderosi, che in altri contesti molto più contenuti e con una strutturazione acustica molto meno dotata rispetto a quella della venue di Trezzo è sempre stato, per molti, l’elemento che ha distolto un po’ l’interesse verso la band. Questa volta invece i loro culti pagani sono stati ampiamente apprezzati, grazie ad un suono compatto e dall’impatto coinvolgente, e con l’ausilio molto importante del boia incapucciato dedito al battere dei timpani e del gong. Ecco perché un festival come il Roadburn qualche anno fa ha creduto in loro, per il suo essere totalmente fuori da schemi precostituiti e per il fatto di seguire il credo della musica a tutto volume in grado di sconquassare le menti. Come inizio non c’è proprio male.

Una conferma del doom italiano attuale sono gli emiliani Caronte, che dopo la buona esibizione sotto il sole del Frantic Fest, si ripetono anche al Live con una performance incentrata sul pervadere atmosfera sulfurea al pubblico tramite il loro doom pesante, ma onirico allo stesso tempo, con la voce e la presenza di Dorian a capeggiare su tutto il resto. Come sempre puntuale ed efficace con la sua vocalità, indirizza la band verso mondi imperniati dall’incedere sostenuto della loro musica, che con i fumi e gli incensi propagati sul palco creano un tutt’uno inebriante che catalizza il pubblico rendendolo molto partecipe.

Sul palco sale ora una band storica del doom italiano, i romani Doomraiser, per far capire a tutti i presenti che il vero doom operaio, senza troppi epicismi ed articolazioni, può ancora fare molta breccia alle orecchie degli appassionati. Dopo la traccia iniziale dove Cynar si presta a voce e moog contemporaneamente, dal pezzo successivo fino alla fine si impossessa della sua proverbiale asta che comunica metallo e declama i suoi versi che spaziano dai nuovi lavori fino al materiale più datato. Un set che è partito con un incedere sostenuto, che ha raggiunto momenti di leggera flessione nella parte centrale, per poi risalire verso la fine, quando le ritmiche si sono fatte più sostenute e prepotenti, e dove il pubblico si è scaldato di più. Una prova più che onesta da parte dei Doomraiser, che ci ha fatto riscoprire il sapore vero del doom.

Arriva ora la prima band internazionale della domenica, una band di fatto ancora emergente, ma che in poco tempo, grazie alla pubblicazione dell’album di debutto ‘Here Now, There Then’ ed ai live che ne sono susseguiti, ha raccolto un apprezzamento invidiabile da parte di pubblico e critica che ne hanno fatti diventare una sorta di ‘new sensation’ del metal attuale. Si parla qui degli olandesi DOOL, e del loro metal che abbraccia non solo doom, ma anche alternative rock, dark rock e profumi di occultismo che ricordano quanto di buono fecero band come The Devil’s Blood (band di cui faceva parte il batterista Micha Haring). Sin dall’inizio la band vuole mettere in chiaro la propria voglia di emergere e di fare un concerto esplosivo, e dopo i pezzi iniziali ed aver preso bene il contatto con palco e pubblico riescono nell’intento di essere una band che dal vivo dà il proprio meglio, elargendo sudore e potenza fisica a pieno ritmo, unita ad un sound grintoso e sempre omogeneo, con punte di varietà in gran numero che non fanno mai annoiare. Le tre chitarre danno forza e vigore ai pezzi dell’album dove viene raffigurato un disegno di un cavallo bianco in corsa, pronto a raggiungere gli obiettivi ambiziosi che i DOOL si sono prefissi. E in una di queste chitarre si scopre la voce di Ryanne van Dorst, che non è certo una femmina dai modi dolci e carini, bensì una presenza dal carattere grintoso e che si fa ampiamente rispettare; oltre a questo, ha una voce molto convincente, molto ruvida e prepotente che, grazie al lavoro sui suoni, è stata resa molto presente. Oltre all’oltima performance sulle canzoni del loro repertorio, aggiungono la ciliegina sulla totra con una versione molto heavy metal di “Love Like Blood”, classicone dei Killing Joke, che completa il cerchio di un set assolutamente impeccabile, innalzando la band tra le note più positive della serata.

Il tempo di rifocillarsi e si va a sentire, seppur in posizione molto defilata, il set dei piacentini Forgotten Tomb, tra gli esponenti più fulgidi di quel filone del doom metal molto avvezzo a tematiche vicine al dolore estremo, alla depressione che può portare anche a gesti inconsulti come il maltrattamento viscerale del proprio corpo. Sinceramente, non è mai stata una proposta che ho considerato, e l’ho tenuta sempre fuori dai miei ascolti. Sentendo il loro live incentrato sui brani facenti parte del loro album (forse) di maggior successo come ‘Songs To Leave’, bisogna ammettere che il loro sound non è così estremo come lo si potrebbe pensare, nonostante lo scream lacerante del leader Herr Morbid fosse davvero ai limiti dello straziante (ovviamente da prendere come punto di vista tendente al complimento). E quindi, seguendo la band da lontano, si può infine notare un certo interesse che può anche portare ad un giusto e doveroso rispetto.

La cerchia delle band italiane presenti nella giornata domenicale del Metalitalia.com Festival si chiude con la presenza di una tra le compagini che ha scritto pagine importanti (soprattutto negli anni passati) del filone atmosferico del metal, vale a dire i romani Novembre, che ormai più di due anni fa hanno pubblicato ‘URSA’, il loro album del ritorno alle scene, a cui sono seguiti vari live in giro per l’Italia e per l’Europa. Album e concerti che, modestissimo parere, non sono mai sembrati completamente esaltanti, e possiamo dire sostanzialmente lo stesso anche del set proposto nel festival, in cui si può sinteticamente dire che i pezzi di ‘URSA’ non riescono a fare completamente breccia, non raggiungono l’obiettivo di fare presa se non in brevi tratti più tirati e ritmati, contenuti soprattutto in brani come “Annoluce” e “Umana”. Come priva d’impatto è stato un pezzo classico della band come “Nostalgiaplatz”, con la band che è sembrata fare poco più che il loro compitino. Nella parte conclusiva dedicata ai pezzi del vecchio repertorio, Carmelo Orlando e soci rialzano la testa, grazie a versioni convincenti di brani come “Everasia”, “Onirica East” e “Cold Blue Steel”, i quali mostrano (come anche nei brani precedenti) come lo scream di Orlando sia ancora oggi molto efficace e presente, a differenza dell’approccio live delle sue parti in clean. Un live a corrente alternata quello dei Novembre, che comunque è stato apprezzato da gran parte del pubblico presente, gesto che Carmelo Orlando ha accolto con particolare favore.

La gente inizia considerevolmente ad assieparsi ed a riempire la sala (cosa che non è successa per le band precedenti, dove a fatica si è raggiunta metà capienza), perché si arriva ora al primo dei due piatti forti della serata, il ritorno sui palchi italiani di una band che è stata per anni (e lo è tuttora) fenomeno di culto della scena gothic-doom mondiale. Direttamente dalla Svezia per farci tornare giovincelli e riassaporare i grandiosi fasti di un tempo, gli svedesi TiamaT capitanati da quella personcina particolare che è Johan Edlund propongono un set interamente incentrato sugli album più famosi ed acclamati dai loro fans, la ruvidità ancestrale di ‘Clouds’ e quella gemma immortale che è ‘Wildhoney’. Edlund entra sul palco con una mise non molto presentabile, con vestaglione nero molto aderente e smalto rosa sulle unghie, non proprio il prototipo del figo per eccellenza. Di contro il resto della band, dove compaiono il fido Lars Skold alla batteria, Per Wiberg al basso che sarà all’opera anche più avanti, e Roger Ojersson (già tra le file dei Katatonia) alla chitarra, durante tutto il set danno una prova musicale che sfiora la perfezione, dove in molti tratti sembra che si ascolti addirittura il disco, grazie anche a dei suoni molto buoni. La prima parte è incentrata sulla riproposizione per intero, ed in perfetto ordine, di ‘Clouds’, suonata molto bene. Peccato per Edlund ed i suoi on-off continui alla voce, ormai molto carente dal vivo, che non fanno raggiungere appieno l’atmosfera ideale. Purtroppo questa sua condizione che corre a cavallo tra troppa sufficienza, condizioni fisiche stesse della voce, e supponenza ai limiti dell’irritante, continua anche quando a prendere la scena è ‘Wildhoney’. Nonostante la sua performance vocale molto modesta, quando partono gli attacchi di pezzi storici come “Whatever That Hurts”, “The Ar” e “Gaia” (interpretata come pezzo conclusivo) le emozioni si impennano fino a raggiungere atmosfere impensabili, merito (come già accennato) della prova magistrale degli altri musicisti, in particolar modo i chitarristi sempre affilati e molto concreti. Un set complessivamente buono, con l’unica ma determinante pecca, di una figura come Johan Edlund, che abbandona il palco ben prima del saluto della band al pubblico, e che, purtroppo, dovrà rendersi conto (se avrà ancora un briciolo di forza mentale per farlo) che così non potrà andare più avanti.

Il secondo piatto forte che conclude questa edizione del Metalitalia.com Festival sono i padrini del doom europeo, i Candlemass, che per quest’occasione sfoderano un ritorno in grande stile: quello della voce storica di ‘Epicus Doomicus Metallicus’ Johan Langqvist, praticamente riesumato a più di trent’anni di distanza, ma che è sembrato presentarsi in una forma più che buona. E la band svedese non poteva quindi che proporre un set interamente incentrato su un album cult del doom mondiale come ‘Epicus…’. Si parte subito con la marcia innestata a bomba con “Crystal Ball”, interpretata alla grande dalla band che fa scuotere tutto il pubblico, e cosa ancora più importante, con Langqvist che, a distanza di trent’anni, ha tenuto la sua voce su ottimi livelli, dando completa dignità a questo straordinario brano. Si va avanti con “Demon’s Gate”, altra pietra miliare del doom, e si nota come l’interpretazione dei brani tenda ad essere più diluita rispetto alle versioni in studio, calcando quindi la mano verso una maggiore spinta atmosferica. Mats Bjorkman e Lars Johansson si rivelano assolute certezze quando c’è da far vibrare la chitarra con le loro ritmiche telluriche, come non è da meno Jan Lindh alla batteria, estremamente preciso e concreto. La sorpresa positiva la dà proprio Langqvist, che sul palco non ha lo stesso vigore scenografico di pezzi da novanta come Messiah Marcolin, e più recentemente Mats Leven, ma è sembrato sempre divertito e fiducioso nel proporre dei brani che rimarranno per sempre nei suoi ricordi. Personalmente, quando è partito il mio pezzo preferito (assieme a “At The Gallows End”) dei Candlemass, vale a dire “A Sorcerer’s Pledge”, sono partito in orbita, e questo grazie anche alla prova superlativa di Langqvist alla voce, che si è attestato a livelli top per tutto il brano, compresi i classici cori finali. Prima del bis si giunge al momento del pezzo forse più caratteristico della band, il brano-manifesto che è “Solitude”, cantato con grande trasporto da tutti i presenti, e suonato dalla band con assoluto pathos, dando quindi l’immenso tributo ad un album immortale.

Dopo la pausa, la band conclude con un po’ di anticipo rispetto alle tempistiche prefissate il loro set con l’interpretazione di “Dark Reflections” (tratto da ‘Tales Of Creation’), unico pezzo fuori dalla carriera di Langqvist, che viene intepretato in maniera dignitosa dalla band che, nonostante abbia suonato poco meno dei TiamaT (sinceramente troppo poco per una band headliner), hanno dato prova di essere una band che rimarrà per sempre nella memoria e nei cuori dei doomsters di ogni età, a maggior ragione in quest’occasione con un grande ritorno alla voce, che si prospetta molto interessante in ottica futura.

MANY DESKTOP PUBLISHING PACKAGES AND WEB PAGE EDITORS NOW USE Reviewed by Admin on Jan 6 . L'Amourita serves up traditional wood-fired Neapolitan-style pizza, brought to your table promptly and without fuss. An ideal neighborhood pizza joint. Rating: 4.5

Commenti

Lascia un commento


2015 Webdesigner Francesco Gnarra - Sito Web