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MINISTRY

Il concerto dei Ministry è stato uno degli appuntamenti più attesi dell’estate alternativa romana (se la memoria non ci inganna la prima volta nella capitale per gli americani), in concomitanza con l’uscita del nuovo disco che li ha visti tornare ai vecchi fasti (http://www.hardsounds.it/recensioni/ministry-amerikkkant), dopo diverse uscite altalenanti. Alle 21.15 del 1 agosto approdiamo in quella location meravigliosa che è Villa Ada, dove anche se in tutta Roma fa un caldo atroce, lì c’è sempre fresco come un'area che gode di un microclima a sè stante; appena entrati nello spazio antistante il palco lo sgomento ci assale: a vedere i Grave Pleasures ci potevano essere 20/30 persone che paragonate alla grandezza della struttura pareva non ci fosse nessuno. Gli ex Beastmilk hanno sciorinato un set dignitoso dimostrando di avere meno originalità e tratti distintivi rispetto alla band da cui provengono; si sono barcamenati in una performance senza alti e bassi con un occhio ben puntato sulle sonorità Interpol e voce che richiamava il cantante dei Mars Volta. Nonostante il caldo e le luci sul palco il singer indossava un chiodo, non osiamo immaginare la schiuma che si è formata sotto quell’indumento; non si sono sbattuti più di tanto probabilmente per l’assenza di pubblico e di stimoli. Senza infamia e senza lode. Nel frangente che è intercorso tra l’uscita di scena dei finlandesi e l’inizio dei Ministry il parterre si è riempito di pubblico che arrivava alla spicciolata, ma sempre meno di quello che lo status della band avrebbe meritato: qui si potrebbe aprire un dibattito fine a se stesso.

Una voce registrata declamava: "we will make America", subissata da una valanga di suoni provenienti da basi e campionamenti, il faccione del presidente Trump campeggiava dietro la strumentazione e due pupazzi gonfiabili ai lati del palco altro non erano che parodie frutto di un mix tra il presidente americano ed un gallo, oggetto di ripetuti e veementi calci da parte del vocalist. A proposito di Al Jourgensen, quel vecchio diavolo, nonostante una vita di eccessi è ancora li sul pezzo; aveva i dreadlock talmente perfetti da farci pensare ad una parrucca oltre ad una quantità di pins and needles superiore a quelle di un puntaspilli. Coadiuvato da una figura torva, ma familiare cioè l’onnipresente Toni Campos (Static X, Prong, Soulfly, Fear Factory, Asesino) e da Dj Swamp che indossava un paio di occhiali talmente spaziali che nemmeno una delle creature di guerre stellari si sarebbe sognato di usare; a chiudere il quadretto il batterista che tenuto conto della mole avrà rischiato il collasso per stare dietro ai ritmi spesso indiavolati. “Twilight Zone” apre le danze con un riff semplice, ma affilato come un bisturi. “Victims Of A Clown” è sincopata e corrosiva, “Antifa” pura dichiarazione d’intenti ci subissa con dei riff tritaossa, lenti e ribassatissimi: da sturbo, prima del doppio grande classico “Just One Fix” e “New World Order” tratti dal capolavoro incontrastato di ‘Psalm 69’ che ci fa scapocciare irrefrenabilmente. “Thieves” è a rischio denuncia per plagio, perché contiene un riff rubato pari pari agli Slayer al quale non è stato attuato nemmeno un tentativo di camuffamento; il bis non poteva che essere ‘Psalm 69’. Sarcasmo, invettive, sound monumentale, show perfetto, video dissacranti, una macchina infernale che nonostante 35 anni di carriera non accenna a cedere il passo, soddisfacendo qualsiasi aspettativa dei fans. Dopo la performance dei Ministry a Villa Ada sono spariti gli scoiattoli.

SETLIST:
I Know Words
Twilight Zone
Victims of a Clown
TV5/4Chan
Punch in the Face
Señor Peligro
Rio Grande Blood
LiesLiesLies
We're Tired of It
Wargasm
Antifa
Just One Fix
N.W.O.
Thieves
So What
Encore:
Psalm 69

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