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OBITUARY

Più che un concerto è stata una vera e propria orda barbarica visto l'elevato numero di band (ben sei) a far da spalla ai "necrologisti", ma l'età avanzante (nonchè la capacità di sopportazione auricolare pari a non più di tre band al massimo) ci ha costretti, nostro malgrado, a preservare i padiglioni giusto giusto per le ultime tre. Appena entrati ci ritroviamo ad essere seviziati dai Corpsefuckingart, fulgido esempio di come si fa brutal death intenso e senza arzigogoli da quasi 20 anni, continuando ad essere il cosiddetto "nemo profeta in patria" che si traduce in poca visibilità ma di ben altro spessore all'estero. Tra riff grezzissimi alla Unleashed e altri più oscuri e tecnici alla Immolation la carneficina prosegue senza soste e sbavature, traendo la maggior parte delle tracce da 'Zombiefuck', loro ultimo lavoro targato 2008. Ennesimo cambio di formazione (stavolta solo temporaneo, Francesco "The Bastard" Moretti dei Southerndrinkstruction alla voce, presente sul palco con tanto di maschera maya a nascondere la sua identità) che anzichè minare la stabilità della band contribuisce a cementarne le fondamenta e potenziarne la linfa vitale (ovviamente oltre ai due membri storici: Corpse alla chitarra - che è poi la mente dietro al progetto, nonchè principale arrangiatore/produttore dei brani - amante delle armoniche, e dell'etichetta Despise The Sun Records, con il suo fido bassista Marco De Ritis). "Sacher Torture", "Beverly Hills Corpse" solo per citarne alcuni dei brani eseguiti; al termine della mezz'ora prevista da scaletta, l'insistenza del pubblico ha fatto pressione affinchè chiudessero con un bis che si è dimostrato essere come la foglia di basilico sul sugo di carne umana: "Zombie Fuck". Seguono i brindisini Adimiron che in seguito ad alcuni cambi di line-up hanno modificato anche stile, passando ad un techno death-core con qualche puntatina djent, scandita da un drumming imponente, riffing industrialoide e un cantato che usa prevalentemente l'urlato (alla Tompa degli At the Gates). Precisi, affiatati, concisi, ma non sono riusciti ad alzare l'asticella dell'attenzione a causa della freddezza e dell'ormai abusata commistione di stili. E così che viene l'ora (mezzanotte circa) non di Cenerentola, ma del "Necrologio"; per magia, come se la gente fosse uscita dai muri, il locale fin a quel momento occupato solo per 1/4 circa della capienza, si riempie di tutti quelli che erano rimasti fuori ad attendere solo ed esclusivamente l'arrivo dei floridiani. Si presentano con una intro strumentale tratta da 'Frozen In Time - Redneck Stomp', alla fine del quale John Tardy fa il suo ingresso salutato da un'ovazione, e coincide con un vero e proprio back to the roots (la formazione perde un pezzo, manca la seconda ascia, quella di Ralph Santolla, probabilmente è stato questo il motivo che li ha fatti virare verso sonorità di inizio carriera) con suoni marci alla 'Slowly We Rot' (che sarà il disco più suonato della serata, con nostro immenso gaudio). Infatti "Internal Bleeding" da il là al saccheggio. Il volume non era a livelli disumani, il setting chiaro faceva apprezzare perfettamente tutti gli strumenti; "Chopped In Half" alza l'adrenalina, si procede fino ad arrivare a "The End Complete", traccia più lenta e melliflua che anticipa un solo di batteria di dieci minuti circa che ha spazientito non poco il pubblico. Dopo una meritata pausa ritornano sul palco con altre due tracce sempre trafugate dal disco d'esordio; ovviamente il bis di chiusura, gioco forza, non poteva non essere che "Slowly We Rot". Viene spontaneo dire: e chi se lo aspettava! Ci sarebbe piaciuto ascoltare qualche altro estratto dal primo parto (tipo "Godly Beings"), ma come diceva la pubblicità di una famosa marca di autoradio: chi si contenta gode... 1.Redneck Stomp 2.On the Floor 3.Internal Bleeding 4.List of Dead 5.Blood to Give 6.Chopped in Half 7.Turned Inside Out 8.Dying 9.Threatening Skies 10.Slow Death 11.Dethroned Emperor (Celtic Frost cover) 12.Find the Arise 13.The End Complete 14.Evil Ways 15.Slowly We Rot

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