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BATHORY: OCTAGON

data

30/11/2003
65


Genere: Thrash Metal
Etichetta: Black Mark
Anno: 1995

Continua l'inarrestabile follia di Quorthon, con un nuovo disco assolutamente atipico sulla scia del precedente "Requiem". Octagon ripercorre i dettami del nuovo stile abbracciato dalla band, e così abbiamo davanti unlavoro votato a un death/thrash/core schizzato e malaticcio, alienante ed ossessivo. Il sound stavolta appare più cupo e avvolgente, con chitarrone bollenti e martellanti e una batteria più curata e più tipicamente metallica. ma le somiglianze con "Requiem" sono davvero tante: Quorthon continua a vomitare rabbia con ferocia unica e mai sentita prima, riff cancerogeni continuano a guidarci nell'incessante olocausto del mondo moderno, in un continuum interrotto però stavolta da inserti più melodici, come un discreto numero di solos dal sapore quasi rockeggiante e lievi momenti melodici come l'intro di "Born to Die". Il tutto è meno veloce, più pesante e doomish di quanto contenuto nel precedente disco, sembra proprio che i Bathory si siano dati al metal core più diretto e pesante, e così fanno pensare le influenze "panterose" di brani come "Sociopath" o i ritornelli malati e drogati di "War Supply". A tratti vengono fuori persino gli Slayer di "South of Heaven", come nella cupissima e dolorosa "Century", in effetti uno degli episodi meglio riusciti del disco, che riesce a comunicarne in pieno la prospettiva malata e mostruosa. Ancora una volta, in questo disco non è presente la minima quantità di calore, tutto è freddo, asettico, cibernetico e a suo modo terrificante, ancora una volta i problemi sono gli stessi che affligevvano il precedente lavoro: scarsità di idee e monotonia fin troppo oppressiva, che rendono "Octagon". Il tutto, a dire il vero, è fortificato da un lieve miglioramento nella struttura compositiva, ma le escursioni più moderniste in cui si lancia Quorthon sembrano essere davvero fuori luogo, come negli stop and go di "Grey" in cui il filo si perde, e si ha la sensazione di assistere più che altro a un tentativo mal riuscito. Certo, il tutto non è in alcun modo brutto o mal fatto, anzi, ma i Bathory hanno fatto cose infinitamente migliori, e non basta che la musica sia minimale e diretta come sempre per convincere. A onor del vero c'è da dire però che anche questo disco è a modo suo carico dell'irrefrenabile espressionismo compositivo di un Quorthon che vuole sbattere in faccia la cruda realtà di un mondo che viene narrato nelle sue caratteristiche più bieche, attraverso una musica priva di qualsiasi apertura luminosa, brutale e a tratti insopportabilmente ossessiva. Insomma, il delirio continua, nel bene o nel male, anche grazie alla cover dei Kiss posta in chiusura, e Quorthon non sembra davvero avere limiti, compositivamente parlando. Oggettivamente però, i tempi passati (sia estremi che non) sono ormai lontani.

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