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MACHINE HEAD: THROUGH THE ASHES OF EMPIRES

data

14/10/2003
94


Genere: Post Thrash
Etichetta: Roadrunner
Anno: 2003

Ho sempre avuto un rapporto di amore/odio con i Machine Head; da una parte li considero una grandissima band, ineccepibile sotto il punto di vista live e per quanto riguarda i primi lavori, ma a volte fin troppo sopravvalutata e alla ricerca del trend. Le dichiarazioni del leader maximo Robb Flynn sul nuovo lavoro, questo "Through The Ashes Of Empires", che ovviamente secondo lui avrebbe 'spaccato il c**o a tutti' e sarebbe stato 'pesante come la m***a', mi avevano incuriosito e sebbene in cuor mio la speranza ci fosse, ho sempre fatto finta di nulla, aspettandomi l'ennesimo disco nu-metal preconfezionato di pessima qualità (leggasi "The Burning Red" e, soprattutto, il soporifero "Supercharger"). E invece, Flynn e compari se ne sono usciti con questo "Through The Ashes Of Empires", mantenendo le promesse fatte; avete capito bene, i Machine Head sono tornati, e alla grande; tornati a fare quello che sanno (sapevano...) fare meglio e soprattutto tornati per spaccare il didietro a tutti e a tutto, giusto per dimostrare ai dilettanti dell'ultim'ora chi comanda. Cacciato Ahrue Luster (chitarrista che non ho mai sopportato e probabilmente maggior artefice della svolta modernista della band), Robb ha deciso di reclutare il paffuto Phil Demmel, suo ex-socio ai bei tempi dei Vio-lence e scatenare, insieme alla solidissima come non mai sezione ritmica formata dai soliti Adam Duce e Dave McClain, una tempesta sonora spaventosa, che viene subito messa in atto per mezzo della minacciosa opener "Imperium", che partendo arpeggiata si sviluppa attraverso riff rocciosi e cadenzati a sostenere un vero inno di guerra che, sul finale, si trasforma in un velocissimo proiettile thrash (su tale riff avrebbero potuto basare tutto il disco e io non mi sarei annoiato...) al fulmicotone. In sette minuti scarsi i Machine Head si riprendono tutto ciò che gli è stato sottratto e negato nell'ultimo lustro. La maggioranza dei brani ha una durata media superiore ai 5 minuti (solamente l'ottima "Bite The Bullet" è la canzone più breve, con il suo incedere da headbangin' sfrenato), ma nessuna delle canzoni annoia mai. Potrei citare "Left Unfinished", con un'apertura melodica eccezionale così come "All Fall Down", o "In The Presence Of My Enemies", che sembra quasi una pistola puntata alla testa dell'ignaro ascoltatore. Il disco si conclude con uno dei brani più belli usciti dalla penna dei Machine Head, vale a dire "Descend The Shades Of Night", una ballad ipervitaminizzata e commovente, impreziosita da un assolo di un Phil Demmel mai così ispirato. Si conclude così il viaggio 'attraverso le ceneri degli imperi', testimonianza di una grandissima band che è riuscita a risalire dalla mediocrità nella quale si era arenata durante gli ultimi anni. Un lavoro completo, incazzato, che mantiene le promesse e non delude...se avete ancora fiducia nei Machine Head compratelo, non ve ne pentirete.

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