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BRING ME THE HORIZON

Attesissima serata metalcore quella che si consuma questo sabato ai Magazzini Generali (ne è testimone il sold out, tra l’altro abbastanza inaspettato). I Bring Me The Horizon sono ormai un nome grosso, e chi li sopporta a malapena credendoli un fuoco di paglia ‘emo’ deve solo mangiarsela. Aprono la serata gli scoppiettanti AUGUST BURNS RED (e devo ammettere che attendevo forse più loro che gli headliner), freschi di un disco clamoroso come Constellations, e la prova del combo statunitense non ha fatto che confermare la caratura della band. Quadrati, precisi e simpatici, la band ha scaricato sull’audience i pezzi migliori della propria discografia, nel (relativamente) poco tempo a propria disposizione; Thirty And Seven (lacrime!), Back Burner, The Truth Of A Liar, hanno mostrato a tutti che gli August Burns Red non sono solo i fratellini minori degli As I Lay Dying. Seguono gli A DAY TO REMEMBER. Devo ammettere di non essere un fan clamoroso della band, anche dopo la loro svolta più heavy dell’ultimo Homesick, ma è innegabile come gli americani siano sempre più popolari nel nostro paese, e dopotutto se lo meritano, visto che sanno miscelare bene il metalcore più scolastico ai ritornelli pop-emo che fanno impazzire le ragazzine (di cui la venue è ovviamente popolatissima stasera). Tanti pezzi da Homesick, ma altrettanti da For Those Who Have Heart e And Their Name Was Treason, per la gioia di tutti, compreso il sottoscritto che è riuscito ad apprezzarli più del previsto. Arrivano i BRING ME THE HORIZON, e ovviamente è il delirio. Freschi del nuovo acquisto alla chitarra Jona (ex I Killed The Prom Queen e Bleeding Through), è comunque chiaro che ad attirare tutte le attenzioni è Oliver; a proposito di quest’ultimo, ogni volta che lo vedo il frontman britannico migliora in quanto a voce e tenuta della stessa, e ciò non può che fare piacere. I Bmth danno al pubblico quello che vogliono, si sa; una manciata di pezzi dal primo disco e poi tutte le perle di Suicide Season che li hanno consacrati definitivamente, The Comedown, Chelsea Smile (qua è sempre il panico), Diamonds Aren’t Forever. Se vogliamo proprio cercare il pelo nell’uovo, la band continua a portarsi dietro il solito paio di difetti, ovvero dei suoni atroci (ma non è certo colpa loro) e confusi e una setlist troppo breve; certo meglio poco e bene che tanto e schifo, però un qualcosina in più ci renderebbe ancora più felici.

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