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BURNING GLOOM

Continuando la serie di interviste che anticipano e promuovono la nuova edizione del festival Cronache Marziane, in programma il 15 giugno al Sound Music Club di Via Mecenate, a Milano, dopo aver chiacchierato con gli headliner Radio Moscow, questa volta abbiamo avuto il piacere di interloquire, tra i tavoli di un pub milanese da noi amanti dell'underground piuttosto frequentato, i Burning Gloom. I sostenitori delle sonorità stoner-doom dentro i confini italiani li conosceranno senz'altro come My Home On Trees, e con loro abbiamo voluto infatti discutere sulle motivazioni che hanno inciso su questo cambio di nome, oltre che al nuovo album 'Amygdala', in uscita nei giorni del festival, ed alla dimensione live che tocca da vicino realtà simili come quella dei Burning Gloom.

Ciao ragazzi. Per prima cosa vorrei chiedervi quando è coinciso il momento in cui avete deciso di porre fine al capitolo My Home On Trees? E qual è stato il motivo scatenante? Marco Bertucci (chitarra): Questa cosa di cambiare il nome della band era nell’aria già da un po’ di tempo. Dopo l’album del 2015, ‘How I Reached Home’, e dopo il tour che abbiamo fatto, stavamo iniziando a cambiare la nostra modalità di suonare. Il vecchio nome non lo sentivamo più tanto nostro, soprattutto riguardo al nostro suono e a quello che facevamo, ai contesti dove andavamo a suonare. Mentre all’inizio ce lo sentivamo nostro avendo iniziato a suonare un certo tipo di genere, piuttosto tranquillo e psichedelico, in cui avevamo anche l’altro chitarrista che inseriva alcuni assoli, dal secondo disco in poi ci siamo allontanati un po’ dalle caratteristiche iniziali, andando sempre di più verso il pesante. Ne avevamo iniziato a parlare da un paio di anni; nell’ultimo periodo MY Home On Trees avevamo pensato più volte di dire: ma lo cambiamo adesso? Poi però, a causa del tour e del festival importante, non c’è stato mai il momento ideale. Quando c’è stata l’occasione del nuovo disco, abbiamo deciso di suonarlo in un certo modo, con dinamiche precise, e in quel momento abbiamo deciso di cambiare nome e identità.

Laura Marta Mancini (voce): In un certo momento abbiamo iniziato a sentire una maturità, andando quindi a prendere direzioni più diverse da quelle precedenti. Dopo che un nostro componente se ne era andato, abbiamo cercato di coprire questa carenza in altri modi, ed è nato qualcosa di diverso. Il fatto di coincidere il cambio del nome con il nuovo album

Chi tra di voi ha avuto l’idea principale del nuovo nome, e cosa volete comunicare con il monicker Burning Gloom? Laura: Coloro che sono stati i più convinti nella scelta del nuovo nome sono stati Marcello e Marco.

Marco: Ciascuno, comunque, ha avanzato varie proposte, e il risultato è stato una combinazione tra queste idee.

Giovanni Mastrapasqua (basso): Riguardo alla comunicazione del nome, avendo preso una direzione musicale più dura, allontanandoci dallo stoner, volevamo dare un significato più oscuro rispetto a My Home On Trees, che risultava un po’ troppo psichedelico, un po’ fricchettone. Ora la direzione con il nuovo nome è più tosta.

Tra ‘How I Reached Home’ e ‘Amygdala’ è passato parecchio tempo. Questo tempo è stato quindi utilizzato per creare un sound che sia il più personale possibile e che rispecchi in maniera totale il vostro essere musicisti? Oppure nel mezzo ci sono altri impegni al di fuori della creazione dell’album? Giovanni: Ci abbiamo messo un po’ di tempo a scrivere l’album, a causa di impegni di lavoro in cui era difficile trovare anche il tempo per provare i pezzi; chi ha messo famiglia (io…), in generale sono successe un po’ di cose che hanno fatto diventare lungo il parto, e allo stesso tempo abbiamo voluto impegnarci molto bene sui nuovi pezzi.

Marco: La scrittura è stata più particolare rispetto a prima, perché poteva capitare a volte che si scriveva a pezzi, per esempio chi non c’era prima a scrivere inseriva le cose dopo, ed era più complicato e lungo scrivere perché la nostra modalità è quella di metterci in sala prove ed improvvisare, lavorando insieme sul pezzo. Abbiamo dovuto modificare il nostro modo di comporre.

Giovanni: Nella scelta dei pezzi da inserire nel disco, qualcuno l’abbiamo scartato perché non ci rappresentava più a livello musicale.

L’amigdala, che dà il titolo all’album, è la tipica pietra di origine preistorica utilizzata dai primitivi per le loro azioni giornaliere. La durezza e la concretezza di questa pietra può essere associata al sound che la band sprigiona in questo disco? Laura: In realtà non era questo che volevamo indicare. Tutto è nato come un concept generale che volevamo dare all’album, che è un concetto dato dalla paura e dai sentimenti. L’amigdala è il centro delle emozioni umane, e dato che tutti i testi presenti nell’album trattano di paura, follia ed emozioni forti che trattano soprattutto lo spettro dei sentimenti negativi, ci sembrava il titolo adatto da dare all’album.

Copertina di 'Amygdala', in uscita il 14 giugno per Argonauta Records

Queste oscurità mentali le associate al tipo di sound che avete inserito nel disco, alla durezza e alla concretezza dei brani? Laura: Ti spiego un po’ la stesura dei testi. La maggior parte li scrivo io, dato che mi piace sentire quello che sto dicendo, ed interpretare quello che sto cantando. Di solito mi lascio ispirare da quello che fanno loro, e quindi i testi nascono su delle idee che mi dà la musica.

Marco: Il tema dell’oscurità mentale si associa e si intreccia con l’oscurità del sound. Risulta tutto coerente e collegato: sound, testi, nome della band sono tutti collegati.

Giovanni: E’ anche vero che non necessariamente la musica con un sound “violento” debba esprimere qualcosa che sia violento, ma è avvenuto tutto in modo naturale. E comunque, l’interpretazione che puoi dare del testo può essere diversa da quella di qualcun altro, ed è anche giusto così.

Continuando sulla mia personale interpretazione di ‘Amygdala’ possiamo dire, inoltre, che questa durezza la si può percepire sin dall’inizio con l’accoppiata “The Tower I-II”? Marco: E’ uno dei primi pezzi che abbiamo scritto, alla fine dell’album precedente, assieme a “Warden” ed è un brano che abbiamo suonato già prima molte volte.

Scorrendo l’album, si nota come la voce di Laura, già particolarmente incisiva in passato, con questo sound più duro si senta ulteriormente inferocita, ed hai voluto esprimere alla massima potenza ciò che pensavi. Laura: Mi sono semplicemente lasciata andare. Il primo album è stato quasi la mia prima esperienza (eccezion fatta per il primo demo), ero alle prime armi e dovevo (e devo ancora) un pochino calibrarmi, e continuare a crescere e capire l’approccio al canto. Sto ancora cercando il mio mood.

Si può quindi dire di aver raggiunto un certo grado di maturità? Laura: Non mi sentirò mai matura.

Giovanni: Posso aggiungere che ci aiutato molto la persona che ha registrato il disco, Giorgio Teneriello, il cui ha lavorato molto bene sulla voce, ed in generale ha tirato fuori il meglio di tutti quanti noi. In particolare con la voce ha dato consigli ed ha fatto esprimere Laura al meglio.

Marco: Lei arrivava in sala di registrazione e diceva: Guarda Giorgio, mi è venuto in mente quella cosa, e lui: Dai, sentiamola! La lasciava proprio andare libera. Sono cose che nel disco precedente sono mancate.

Mancavano perché eri ancora meno sicura sulla interpretazione e sentivi dei limiti? Laura: Diciamo che ero meno lanciata e più intimorita, dato che My Home On Trees sono stati la prima esperienza da cantante in assoluto.

Marco: Ha avuto meno possibilità di esprimere effettivamente il suo potenziale, data dal suo percorso di crescita. C’è da dire che dal primo demo che abbiamo fatto, al disco successivo è passato meno di un anno perché avevamo molta voglia di registrare. In questo caso, invece, abbiamo avuto molto più tempo e anche lei ha avuto modo di ragionare su cosa fare e su cosa le piacesse fare. Il punto di forza di quest’album è il fatto che, quando Laura aveva in mente una cosa e ce la diceva, noi la lasciavamo fare e sperimentare. Vedendola lanciata, si è sentita più libera di esprimersi.

Laura Marta Mancini live @ Tube Cult Fest 2016

Inoltre, anche l’arrangiamento risulta essere più costruttivo e completo, con una buona performance dal punto di vista ritmico. Anche per voi altri ‘Amygdala’ è l’album perfetto per le vostre caratteristiche? Marco: Non so se sia proprio l’album perfetto, dato che si è sempre un po’ in crescita.

Giovanni: Io ho visto che, dal punto di vista degli arrangiamenti, c’è stato un gran lavoro da parte di tutti noi, e si sente sicuramente la crescita rispetto al disco precedente. Aldilà del suono che probabilmente l’avevamo già trovato, è cambiata la direzione musicale e il modo di scrivere i pezzi, essendo quindi molto attenti negli arrangiamenti. Essendo in quattro, e non avendo un’altra chitarra, dal mio punto di vista che suono il basso ho cercato più volte di suonarlo in maniera un po’ diversa, più chitarristica, per cercare di riempire un qualcosa che era presente con le due chitarre. Il chitarrista che ci ha lasciato era un chitarrista solista, e ci siamo trovati, con un chitarrista ritmico ancora in essere, davanti ad una potenziale perdita, cercando di sopperire in modo diverso, non con assoli di chitarra, e cercando di arrangiare in maniera diversa lavorando più sul suono e sul ritmo.

Chi tra di voi ha dettato i ritmi dell’album, dal punto di vista della costruzione delle idee dei brani? Giovanni: La maggior parte delle idee le ha portate avanti Marco, ma in sostanza è un lavoro corale. Difficilmente entriamo in saletta con il pezzo già fatto, tranne forse con un pezzo.

Marco: Sì, si parte da un’idea, nata magari quando ci stiamo sistemando e cazzeggiando, che quando la si sente può piacere e portarla avanti. Ci piace lavorare così ed è capitato rare volte di lavorare con pezzi già fatti.

Nell’album, qual è secondo voi il brano che rispecchia fedelmente  il concetto di ‘Amygdala’? Marco: A livello di suono, essendo io chitarrista, direi “Nightmares”, perché mi piace molto il modo particolare di suono che ne è uscito fuori.

Laura: Dal punto di vista concettuale direi “Obsessive-Compulsive Disorder”. Se parliamo da un punto di vista di crescita musicale, secondo me il brano più completo è “Modern Prometheus”, quello con due chitarre.

Giovanni: E’ un po’ difficile come domanda, un po’ “Nightmares”, un po’ “Dynamite”. In generale, il filo conduttore è lo stesso, ma i singoli brani hanno una propria caratteristica.

Quali garanzie vi ha dato Argonauta Records per la pubblicazione del disco che altre etichette non hanno? Giovanni: Ciò che ci ha colpito di Gero e di Argonauta è il fatto che ci abbia cercato lui, ed ha espresso una sorta di fiducia. Gli è piaciuto il disco e si è preso bene. Nonostante il cambio nome, ci conosceva ed ha voluto produrlo. A livello di empatia, ci siamo trovati subito ed ha dimostrato di crederci e di volerci effettivamente aiutare. Siamo rimasti molto colpiti di questo ed è stato molto facile. Rispetto ad altre label anche più grosse, Argonauta ci ha fatto sentire più coinvolti e seguiti, come parte di una famiglia, e ci ha fatto capire che c’era nel produrci il disco.

Marco: Gero ci ha chiesto perché volevamo cambiare il nome, e noi abbiamo argomentato la cosa e l’abbiamo convinto.

Burning Gloom (ex My Home On Trees) live @ Up In Smoke Festival 2017

Nell’album c’è un brano in cui canta anche Mona Miluski, voce degli High Fighter, ma anche promoter  stampa. Che spinta vi ha dato nell’esecuzione di “Nightmares”, e che supporto vi dà nell’organizzazione dei vostri impegni? Marcello Modica (batteria): "Nightmares" era già stata scritta e arrangiata e aveva già un testo e una linea vocale dall'inizio alla fine, ancora prima di decidere di far cantare la seconda parte a Mona. Laura cantava anche quell'ultima parte e a dire la verità mi piaceva molto come la cantava (forse nei live potrete sentirla). Un giorno però, parlandone in sala prove, ci siamo resi conto che ci sarebbe piaciuto avere un'ospite nel nuovo disco, come nel precedente avevamo avuto Steve Moss dei The Midnight Ghost Train. Abbiamo cercato di capire insieme in quale delle 8 tracce avrebbe avuto più senso avere una voce diversa da quella di Laura e "Nightmares" ci é sembrata la più appropriata per quello che cercavamo, una voce "metal" e in particolare una voce femminile stavolta. Tra i nostri conoscenti diretti Mona ci è sembrata la più potente e la più in linea con quello che avevamo in mente. Gliel'abbiamo proposto ed era entusiasta dell'idea, il fatto poi che stessimo già collaborando insieme per altri aspetti legati all'album ha sicuramente rafforzato il tutto, aumentando l'entusiasmo. Conosceva il disco, lo avrebbe promosso come Ufficio Stampa, era la persona giusta. Le abbiamo proposto di urlare violentemente e il risultato è stato sbalorditivo, ha dato un'impronta sludge e black alla traccia, con uno screamo devastante nel finale. Siamo rimasti veramente molto soddisfatti dall'esperimento. In questo album volevamo appunto provare a sperimentare, per allontanarci dal solito stoner rock, avvicinandoci più al doom e allo sludge. La collaborazione si basa su un rispetto e una fiducia reciproci che credo abbiano influito molto nella realizzazione finale della traccia. Il suo lavoro come Ufficio Stampa é prezioso e fondamentale per noi, siamo una band nuova che é ripartita da zero con un nuovo nome e una nuova label e la sua professionalità nel promuovere un nuovo disco di una nuova band, é quello di cui avevamo bisogno, ci serviva una professionista con esperienza e l'abbiamo trovata.

E’ imminente la vostra partecipazione nel festival “Cronache Marziane”, tra l’altro organizzato proprio da te, Mars. Assieme a voi altri vostri colleghi italiani. Può essere questo l’evento che può dare una svolta alla musica live underground italiana? E quanto può essere difficile, in generale in Italia, organizzare eventi di questo tipo? Purtroppo si notano occasioni dove all’ottima qualità dell’offerta musicale, non si trova altrettanto riscontro dal lato della domanda degli avventori. Marcello: Purtroppo no, devo essere sincero, ma questo evento, alla sua seconda edizione, non servirà a creare nessun input e non riscuoterà gran interesse da parte del pubblico italiano, mi dispiace essere pessimista e vorrei poter credere il contrario, ma ormai parlo per esperienza dopo anni di concerti. Si tratta di un piccolo festival indipendente e supportato solo da due persone e dalle loro tasche, senza scopi di lucro, ma spinte dalla passione e dal divertimento. Il problema è che però, per quanto spinte appunto dalla voglia di organizzare eventi per puro piacere (abbiamo altre occupazioni in realtà) non vediamo dall'altra parte alcuna spinta, percepiamo poco entusiasmo e poco supporto. In Italia, parlando per questo genere musicale underground, se non si propone un headliner straniero con un nome conosciuto e quindi con un cachet costoso, le persone non sono interessate a vedere un festival di sole band Italiane sconosciute, mancano la voglia di scoprire e la curiosità e da una parte posso comprenderlo, in una città come Milano l'offerta é tale da ritrovarsi sempre più concerti imperdibili ogni settimana. La concorrenza é agguerrita, é una competizione tra locali e promoter. La gente non ha né soldi nè tempo per poter vedere più live negli stessi giorni e deve per forza fare delle scelte. In più parliamo di un pubblico che ha una fascia media di età che va dai 30 ai 50 anni e quindi ha anche altri pensieri e problemi per la testa, economici e non, mentre i più giovani non sono interessati a questa musica, se non a fenomeni mainstream come Greta Van Fleet o altri. Il nostro release party è inserito in un contesto che spazia dalla psichedelia all'hard rock 70's, passando per il blues, lo stoner e il doom. L'offerta ci sembrava varia e ricca, ma l'interesse percepito non é quello che ci aspettavamo purtroppo. Pur avendo un nome più grosso e straniero, come Radio Moscow e una serie di nomi Italiani più o meno conosciuti, tra cui i Milanesi Giobia, che hanno sempre avuto un loro seguito in città, non stiamo riscontrando i risultati che ci auguravamo ed é demotivante. In ogni caso, parlando da batterista e non da promoter, stiamo facendo del nostro meglio per la promozione e il 15 giugno ci basta avere il supporto di amici e conoscenti. Non vediamo l'ora di suonare il nuovo disco, a prescindere da quanta gente ci sarà.

Qual è la caratteristica che avevano i My Home On Trees e che vi siete portati dietro nei Burning Gloom? Marco: Alla fine, siamo sempre noi, la nostra voglia di fare le cose in un certo modo, di cercare un certo tipo di sound. Il fatto che da un po’ di tempo volevamo arrivare a cambiare il nome è che il nostro modo di comporre e di suonare era già quello che avevamo durante My Home On Trees, solo che, come detto prima, era un nome che non ci sentivamo nostro, a differenza di ora. Per il resto, non è cambiato granché rispetto a prima.

Giovanni: A questa domanda, onestamente, non saprei come rispondere. Posso dirti comunque che, rispetto al disco precedente che era più stoner, ‘Amygdala’ risulta essere molto più vario, anche a causa di un diverso modo di lavorare sugli arrangiamenti e sulla produzione.

Per finire, quale può essere il concetto basilare e principale per convincere i nuovi ascoltatori  ad approcciare a quest’album? Giovanni: Posso dire che ‘Amygdala’ è un disco più vario, che può coinvolgere persone che non ascoltano necessariamente solo un determinato genere, fossilizzandosi. Il sound è più variegato, la qualità del suono è migliore, anche se magari possono essere delle cose che lasciano il tempo che trovano. Un’altra caratteristica importante dell’album, data la sua varietà, è che i singoli pezzi possono ricordare diverse influenze e ci sono vari spunti. Durante la composizione del disco, abbiamo ascoltato tante cose che non c’entravano niente con lo stoner o con il doom, ed in certi pezzi questa cosa salta fuori. Non ci piace essere etichettati sotto un determinato genere, ma avendo tutti e quattro dei background completamente diversi, che vanno dallo stoner al doom, alla psichedelia e ad un approccio più 70’s, credo sia normale sentire in questo disco tutte le varie influenze.

Marco: Quando mi chiedono cosa suoniamo, rispondo sempre che abbiamo un sound molto caldo, con una bella voce femminile, e dicendo alcuni esempi a cui ci ispiriamo, per esempio i Kyuss, Black Sabbath. Nelle varie recensioni negli anni passati, ci hanno associato a quei nomi, oltre agli altri soliti.

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