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DOKKEN + KINGDOM COME

[KINGDOM COME] Ero piuttosto curioso di assistere allo show che vedeva on-stage un duo storicamente impegnativo come quello formato da Dokken e Kingdom Come, due nomi che nel bene o nel male hanno segnato la storia delle sonorità hard 'n' heavy, partorendo nel corso dei decenni album imprescinidibili per ogni amante di tali sonorità ed episodi qualitativamente meno riusciti, i quali hanno finito per gettare numerose critiche alla volta di tali imprescindibili formazioni. L'apertura della serata, affidata ai Kingdom Come di Lenny Wolf (unico superstite della formazione originale), riesce senza dubbio a convincere gli accorsi all'evento relativamente alla qualità profusa dalla band di origine teutonica, un'affermazione motivata anche in considerazione del poco successo ottenuto già negli anni storici del gruppo stesso sul suolo italiano, facendoli risultare alla stregua di semi-sconosciuti per una discreta fetta del pubblico presente. Ciò nonostante è bastato sciorinare una serie di vere e proprie gemme senza tempo quali "What Love Can Be", "Living Out Of Touch", "Should I" e "Pushing hard" per destare immediatamente una notevole impressione sull'audience di un Alcatraz non esaurito ma vivace, il quale dimostra di apprezzare senza mezzi termini il sound proposto ed il carisma di un frontman di buon impatto come il già citato Lenny Wolf. Un'altra nota interessante va inoltre spesa riguardo ai pochi e più recenti brani tratti da "Perpetual" e "Ain't Crying For The Moon", composizioni che, sinceramente, non mi hanno impressionato granché per quanto concerne la loro versione in studio, e che invece dal vivo hanno saputo catturare a dovere grazie al proprio ipnotico incedere. Un'esibizione convincente, che a giudizio di molti ha rappresentato il vero motivo trainante della serata a causa della discutibile forma di Don Dokken e soci. [Zorro11] [DOKKEN] Sarà per la gran prestazione dei Kingdom Come, sarà per gli oltre cinquant'anni del buon Don, sarà per il massacrante tour che li vede impegnati tutti i giorni nelle principali città europee ma questa volta i Dokken non hanno di certo entusiasmato. Sia chiaro, è sempre un piacere rivedere la band dal vivo ma bisogna essere onesti e mettersi il cuore in pace, nonostante Sparks al basso e Levin alle chitarre siano due elementi più che ottimi per tenere alta la bandiera, i due superstiti cominciano a perdere qualche colpo, non tanto il grintoso e pimpante Mick Brown alla batteria, ma bensì un Don Dokken decisamente in declino il quale fatica tremendamente a seguire i compagni. In suo aiuto ci sono da registrare i decisi cori del duo Sparks-Brown, davvero un salvagente per il vocalist che ha avuto comunque il merito di aver ingaggiato un chitarrista di assoluto spessore come Jon levin, vero mattatore della serata che riesce a rendere rocciose ed allo stesso tempo dinamiche le canzoni in scaletta. La vera pecca della performance in questione è la mancanza di un sound corposo, quello che ha reso famosi i Dokken nel corso degli anni, e ciò anche a causa di un basso troppo assente che rende i pezzi piuttosto vuoti, quasi scarichi. E' anche vero che se dietro il microfono ci fosse stata la stessa ugola di dieci anni orsono tutto questo sarebbe passato, sicuramente, in secondo piano. Ma tantè.... Certo, i classici in scaletta come "Kiss Of Death", "Dream Warriors", "Alone Again", "Breaking The Chains", "The Hunter" e "In My Dreams" farebbero felice chiunque, figuriamoci il pubblico dei Dokken. E proprio le canzoni proposte, che ripercorrono la carriera di una band che negli anni ottanta dettava legge, hanno comunque soddisfatto scatenando la giusta ovazione a fine concerto. D'altra parte le leggende non si dimenticano... [Poisoneye]

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