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AA.VV.: ONE FOOT IN FIRE - A TRIBUTE TO CIRITH UNGOL

data

21/05/2006
S.v.


Genere: Epic Metal
Etichetta: Solemnity Music
Anno: 2005

I Cirith Ungol sono stati uno dei maggiori gruppi di culto della scena epic metal Americana anni ’80. Attivi dai primi anni ’70, irruppero nel mondo dell’heavy metal con una formula originalissima e unica, dapprima influenzata dal sound hard rock della decade precedente, per poi via via virare verso uno stile più classico nella parte finale della loro storia. Quattro soli dischi in quasi 20 anni di carriera, ma ognuno di questi platter si può considerare tranquillamente come un capolavoro. Purtroppo la qualità della loro musica venne superata solo dalla loro sfortuna e dall’insuccesso, che li costrinse ad abbandonare le scene all’indomani della pubblicazione di “Paradise Lost”. Nonostante lo scioglimento, la venerazione per questo gruppo leggendario è rimasta viva negli ambienti underground dell’heavy metal più classico, e attraverso questa grande iniziativa gli viene finalmente onorato il giusto tributo che merita. “One Foot In Fire” è un disco nel complesso gradevole che raccoglie varie perfomances di gruppi più o meno emergenti della scena europea. Ad aprire il lavoro ci pensano gli olandesi Rotten con la loro “Cirith Ungol Overture”, un medley strumentale buono nelle intenzioni, ma inspiegabilmente troppo breve. A seguire un episodio singolare: “Shelobs Lair” non è una cover, bensì un brano dei Falcon, nuovo gruppo di Greg Lindstrom, chitarrista dei Cirith Ungol sul primo “Frost and Fire”: trattasi di una canzone veramente stupenda, molto hard rock, in realtà scritta in principio proprio per gli stessi Cirith Ungol. Seguono i “padroni di casa” Solemnity (il tributo esce per l’etichetta di proprietà del cantante), bravi a rendere ancor più originale una “What Does It Take” già particolare nella versione originale. Gli Holy Martyr sono i primi rappresentati italiani della folta schiera di gruppi tricolori presenti (ben quattro!), e si rendono protagonisti dell’episodio forse migliore, con una “Frost And Fire” personalizzata a dovere e veramente esaltante. Stesso discorso per i tedeschi Dawn Of Winter, Doom band in cui militano Gerrit P. Mutz (Sacred Steel) e Jorg M. Knittel (ormai ex Sacred Steel): la loro versione di “Doomed Planet”, caratterizzata dall’ormai famoso e singolare timbro vocale del singer teutonico, si rivela una delle tracce migliori. Da qui in poi c’è un alternarsi di interpretazioni più o meno convincenti. Torniamo in patria per altre tre volte prima con una buona e fedele “Black Machine” degli Assedium (da notare quanto il timbro del cantante Marco sia forse quello che più si avvicina all’originale Tim Baker), poi con i Rosae Crucis, che scelgono di snaturare completamente “Death Of The Sun”, risuonandola in chiave speed, il che le fa guadagnare molto in impatto e pesantezza ma le fa perdere molto del classico feeling “ungoliano”; infine i bravi Battle Ram, la cui unica pecca nella loro “Join The Legion” è forse la voce. Grandi le reinterpretazioni di “Fallen Idols” da parte dei polacchi Monstrum, molto classici nei suoni, e di “Chaos Rising” degli altri polacchi Crystal Viper in collaborazione con due membri della storica band N.W.O.B.H.M. Elixir, trascinata da una voce femminile molto aggressiva. Unico episodio negativo si rivela la “Heaven Help Us” degli svizzeri Emerald, fin troppo blanda e priva della giusta carica. Poco importa comunque, ciò che conta nell’ideazione di questo tributo sono indubbiamente lo spirito e le intenzioni, e nonostante il disco sia discontinuo e a tratti non riesca ad esaltare a dovere, ha il grande pregio di aver riunito gruppi ancorati all’underground dell’heavy classico, che hanno avuto l’onore di tributare uno dei più grandi gruppi di sempre.

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