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IRON MASK: Fifth Son Of Winterdoom

data

13/11/2013
63


Genere: Neoclassical Power Metal
Etichetta: AFM Records
Distro:
Anno: 2013

Procede senza grossi cedimenti, ma anche senza squilli di tromba la carriera di Dushan Petrossi da quindici anni al timone della multinazionale Iron Mask, giunta al loro quinto album in studio. Il sodalizio artistico tra l'axe hero belga e il cantante Mark Boals iniziato con il precedente 'Black As Death', continua imperterrito nella riedizione di tematiche heavy di certo non rivoluzionarie, arricchite da ricami solisti tanto cari a Yngwie Malmsteen (e non è comunque una sorpresa visto che Boals ha prestato i suoi servigi presso la corte del vichingo nel 1985, anno della realizzazione di 'Trilogy'). Aspettiamoci quindi tanta competenza strumentale unita ad una forza espressiva del vocalist americano che anche stavolta si dimostra un vero campione, ma non ci stanchiamo mai di ricordare che le risorse, anche se messe a disposizione in quantità generose, servono veramente a poco se l'esito finale mette in mostra qualche magagna in eccesso (nonostante la produzione si presenti più curata rispetto anche al più recente passato). Ottime idee alternate a parecchi svarioni che abbassano in misura non indifferente il livello del songwriting per un metal (neo)classico di maniera che in troppe, davvero troppe circostanze si dimostra derivativo nei confronti i grandi del passato. A brani come la spedita "Like A Lion In A Cage", che avrebbe fatto davvero la sua porcona figura in un album come lo splendido 'Eclypse' di Yngwie, l'arcigno heavy di "Seven Samurai" aggraziato da un bella apertura melodica in sede di refrain, o l'ottimo melodic metal di "Eagle Of Fire" fanno purtroppo da contralto l'iniziale "Back Into Mystery" che avrebbe potuto rivelarsi vincente se non fosse per quell'assolo inspiegabilmente fuori tema, o dalla ridicola "Angel Eyes, Demon Soul"; e se la splendida, epicheggiante "Reconquista 1492" fa rimembrare le eroiche gesta dell'incommensurable R.J. Dio ci chiediamo come non sia possibile provare un senso di imbarazzo durante l'ascolto della conclusiva "The Pictures Of Dorian Gray" dove nel break strumentale è contenuta un'imitazione quanto mai spudorata del lick solista che ha reso celebre un pezzo come 'Halloweed Be Name'.

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