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KEYS OF ORTHANC: Dush agh Golnauk

data

03/08/2018
55


Genere: Black Metal
Etichetta: Naturmacht Productions
Distro:
Anno: 2018

Il binomio metal e Tolkien si è ripetuto piuttosto spesso nel corso della storia della musica. I canadesi Keys of Orthanc non fanno eccezione, tanto da raccontarci una parte dei racconti del noto autore nella loro prima fatica in studio. Dush agh Golnauk, così si intitola, è il primogenito in casa di un progetto per il quale dovremmo utilizzare il singolare. Il protagonista è infatti il solo Dorgul, polistrumentista dedito ad un black metal atmosferico e dalle cadenze epiche. I brani hanno degli sviluppi crescenti, onirici per certi aspetti e vicini alla “meccanica” del doom. Non siamo in un contesto in cui vento gelido soffia incessantemente, sparute accelerazioni raggiungono infatti velocità pur sempre ridotte. Come capita spesso in queste circostanze, non è la tecnica o la sperimentazione ciò che l’artista va cercando. Pathos e ambientazione si intrecciano ad un uso minimale degli strumenti. Le tastiere in sottofondo disegnano armonie diradate, nebbia che si alza e che crea un piano su cui la voce narrante si sviluppa. Ci viene in mente un paragone con i Summoning, per tematiche, i Drudkh e i primissimi Dimmu Borgir. Siamo nel sottobosco del genere, in cui la derivazione la fa ostinatamente da padrone, tra l’altro citando testi e vocaboli già sviscerati da molti altri. Il full-length scivola via malinconico, rabbioso e carico di rancore nei cicli strutturali che sfociano nella più classica suite “ambient”. Disco dignitoso, sia chiaro, il cui limite però è l’eccessivo allineamento a cose già viste, per di più in un ambito di minimalismo povero di sfumature. Prendere o lasciare, verrebbe da dire, se non altro perché chi va ricercando questi tipi di suoni e argomenti può ritenersi soddisfatto. Sia chiaro, parliamo di adepti e collezionisti, perché è chiaro come il paraocchi sia d’obbligo in contesti così poveri di personalità ed idee. Auspichiamo le cose evolvano, se non altro sporgendo verso spunti nuovi, che non si fermino ad una mestizia così fine a se stessa e priva di verve.

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