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STRYPER: God Damn Evil

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10/05/2018
83


Genere: Hard Rock, Heavy Metal
Etichetta: Frontiers Records
Distro:
Anno: 2018

Procede sempre più a gonfie vele la seconda fase della carriera della christian metal band californiana, una fase in cui tutte le frivolezze hair e glamour sono pressochè scomparse a favore di un sound sempre melodico, ma anche decisamente più crudo e 'cattivo', caratteristiche che non fatichiamo certo a trovare anche in questa release. I tempi delle bizzarrie (sia nel look, sia nei discutibili atteggiamenti, come ad esempio il lancio delle bibbie verso il pubblico), sono oramai tramontati, c'è molta concretezza in ciò che i fratelli Sweet realizzano pur mantenendo sempre la divulgazione del messaggio cristiano la tematica principale, se non esclusiva, delle liriche. Si parlava di sound cattivo, e l'opener "Take Me To The Cross" è quanto di più aggressivo abbiano partorito gli Stryper, con le due asce che si producono in un riffing un po' thrash e un po' groove metal dove nella parte finale è possibile udire il cantato growl dell'ospite Matt Bachand. "Sorry", il singolo da cui è stato tratto il video è di tutt'altra pasta e ci riporta verso sonorità più legate al passato ma senza quelle smancerie che potevano rendersi fastidiose con una parte lirica da standing ovation, ed è la voce di Michael che pian piano si rende protagonista mettendo in mostra tutta la sua classe sopraffina nell'altrettanto melodica "Lost", mentre la title-track (non lasciatevi fuorviare dal titolo blasfemo) è un ottimo esempio di hard rock dalle atmosfere più festaiole che non guasta e che riesce a stemperare l'atmosfera a tratti cupa. Tralasciando "You Don't Even Know Me" dal sound moderno e forse non del tutto riuscita, si torna in territori prettamente metal con il ritmo incalzante dell'epica "The Walley" in cui Michael Sweet e Oz Fox fanno il bello e il cattivo tempo con i loro micidiali fraseggi come anche nell'arcigna "Own Up", o nella conclusiva "The Devil Doesn't Live Here", a cui fa da contralto la cristallina melodicità di "Beautiful" (impossibile non rimanerne stregati), in cui le squisite armonie vocali del cinquantacinquenne Micheal riescono a toccare i nostri cuori così come lo faceva a metà degli anni ottanta, e lo stesso vale per l'immancabile ballad "Can’t Live Without Your Love". Dopo il non esaltante 'Fallen', con 'God Damn Evil' gli Stryper si rifanno con gli interessi piazzandosi ai livelli dell'ottimo 'No More Hell To Pay' (forse anche al di sopra), mettendo in mostra un songwriting di finissima qualità in cui aggressività e melodia riescono perfettamente a convivere senza alcuna forzatura,  un'esecuzione musicale e vocale strepitosa e un'ispirazione da autentici top player.

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