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IL NERO TI DONA: Worldwide Black Metal

Nero ti dona

Per fortuna il suggeritore della tastiera del mio cellulare mi consiglia dove mettere esattamente le vocali e le consolanti in Pimeydentuoja, altrimenti sarei stato perso nei meandri della lingua finlandese. In realtà lo sono ancora perché non credo di sapere molte altre parole oltre a questa e a qualche titolo degli Amorphis. Dannata ignoranza. E dannate band che di solito fanno roba di qualità decrescente, a causa loro se un qualsiasi secondo album esce bene ne sono sorpreso, è una eccezione. È quello che è capitato con il qui presente 'Hellcrowned' (Satanath Records), fortissimo come una macchinetta di caffè fatta col sangue al posto dell'acqua, molto meglio dell'esordio di due anni fa, che si perdeva tra le altre cose in una produzione indegna. Acido, amaro e dall'indomabile potere distruttivo, bestiale come di recente ho potuto trovare i Serpent Ritual. È logico che non ci troviamo davanti a degli scienziati del pentagramma, ma uscite così dissanguanti fanno capire che black/death non è -per nostra immensa fortuna- la robetta da righello e squadretta degli Belphegor e Svart Crown. E poi la grande domanda è: come è finita nell'intro di "Sadist Torment" una frase in italiano tratta da 'Salò o i 120 giorni di Sodoma', l'ultimo film di Pasolini? Certo è meglio di una delle solite invocazioni sibilline o canti gregoriani, no? Il growl imperioso e molto "americano" come cantato svetta sulla distesa di blast beat e di ritmiche richiamanti a tratti i Necrophobic, a tratti gli Angelcorpse, creando la giusta impalcatura fatta con le carcasse di tutte le divinità con cui i Pimeydentuoja se la prendono.

Trovare il bandolo della matassa negli intrighi di alcuni gruppi dell'underground turco era un'esperienza chi mi mancava, ma la domanda è: si metterà l'articolo determinativo in italiano prima del nome The Sarcophagus? Oppure quel "the" posso considerarlo onnicomprensivo? In ogni caso dagli anni Novanta con questo gruppo è rimasto il solo Nahemoth, polistrumentista, che negli anni è entrato nei Raven Woods, ne è uscito e successivamente ha attratto nel Sarcofago il loro bassista. Una corrispondenza di amorosi sensi, tutto sommato. Il buon 'Towards The Eternal Chaos' del 2009 è stato abbastanza pompato, contratto con Osmose e Niklas Kvaforth degli Shining al microfono non sono avvenimenti da poco. Niente male per un primo full length. Se solo non ci fosse stata la drum machine... nulla di irreparabile per carità, se fai black da catapecchia in mezzo al bosco è una cosa, ma se scomodi Kvaforth e suoni qualcosa di più maestoso e imponente è un'altra. Con una formazione meno ingombrante Nahemoth ci riprova dopo ben otto anni e 'Beyond This World's Illusion' (Satanath Records) rappresenta una vera e propria enclave svedese in terra ottomana. Non mi aspettavo che il disco mi consegnasse sostanzialmente una versione più melodica ed elaborata dei Dark Funeral e dei Setherial, in cui le tastiere dell'album precedente e la sua strisciante pomposità sono venute totalmente meno. Ci sono delle chitarre acustiche in "Triumphant Divine Terror", ottimamente integrate nell'ammirabile sound organico creato. Il nuovo cantante è il collaudato Morkbeast dei russi Todestriebe, il quale mi aveva abituato a prestazioni meno classiche, ma anche nel voler fare il discepolo di Emperor Magus Caligula non è disprezzabile. Il batterista -credo sia umano stavolta- è una sicurezza e riesce ad andare, con moderazione, anche oltre gli stereotipi più monotoni del genere. Si sente dalla convinzione con cui questi turchi si dannano l'anima per i tre quarti d'ora di durata: hanno tanta fame. Proprio come la bestiolina antropofaga della copertina, inconfondibile opera di Paolo Girardi.

Ogni tanto gli spin off vengono meglio degli originali, come nel caso dei Lava Invocator che hanno surclassato alla prima uscita i Def/Light. Siamo in Ucraina e 'Mork' è qui, caldo caldo, appena sfornato, e scalcia come un dannato. Evidentemente non erano Ingvaar e Silent a ingolfare la band madre e con i trentasette minuti di quest'album danno prova di un'importante ispirazione. Non è un semplice tributo alla Svezia come successo per i pur buoni The Sarcophagus, siamo davanti al classico gruppo che è più elaborato e pensato che nelle premesse. In questo caso pensavo dovessi andare incontro all'ennesimo clone dei Dark Funeral che suona meglio degli attuali Dark Funeral, ma mi son trovato a lottare per non affogare sotto i riffoni di stampo più disparato, dal sound svedese dei Ragnarok a quello norvegese dei Mayhem, passando per Gehenna e Mork Gryning (e non è una sola associazione di nomi). "Awaken", che diveva rimanere una mediocre introduzione, si è svegliata (nomen omen) sul finire, "Gestapofallos" è da scatafascio come Impaled Nazarene e Darkthrone, senza considerare le tastiere nelle epicissime "Dark Thunder Sky" e la title track, ma attenzione anche alla lenta "Black Dawn". Con i dovuti distinguo nello stile, qui ben più severo come riferimenti, come impostazione e come registrazione, fa il paio con l'altro album black del momento, quello del progetto Opus Diaboli. Battesimo col fuoco.

Se ti chiami Norse e vieni dall'Australia qualche problemino devi averlo... e nel black metal avere problemi più o meno seri è tutto. Infatti il duo composto da Forge e ADR lo fa strano, ancor più strano se non si tratta di nulla di correlabile alla mitologia nordica, come il nome presupporrebbe. Già nel precedente album 'All Is Mist And Fog' si rimaneva basiti dal tipo di produzione e dall'andamento sempre sghembo, e oggi, con suoni parzialmente diversi, anche 'The Divine Light Of A New Sun' (Transcending Obscurity Records) ha una sua ragion d'essere. Se si riuscisse ad astrarre il particolare modo di suonare e di mix e mastering, non andremmo troppo lontani da quanto fatto di recente dagli Artificial Brain in campo death metal, il che ci fa capire come tutto sommato la gente fuori di testa ha (quasi) sempre ragione. L'atmosfera è molto cupa, le chitarre sono molto caratteristiche, le ritmiche vanno dal black più avanguardistico al più attraente e misterioso sound dei Portal, con andatura anch'essa variabile e che include anche dissonanze industriali (nella title track, ad esempio). Non si sa mai come va a finire un brano appena iniziato e non ci sono punti di riferimento, è tutto in movimento, si viene conquistati senza frenesia, con un quadro della situazione che dopo qualche ascolto si delinea, ma sicuramente non è piatto o minimamente prevedibile. Esattamente come l'orrendo e schizoide timbro vocale, più vicino al death metal in molti punti, ed aiutato da opportuni ed alienanti filtri. Da sturbo le ultime due canzoni, manifesto dell'opera e con riff alla Meshuggah inabissati nel black/death, per il resto siamo su buoni livelli, anche se l'amalgama complessivo potrebbe essere migliorato.

Rimanendo in Australia ci occupiamo di un gruppo che gironzola nelle stesse zone dei Norse, ma che più diverso non potrebbe essere, benché nell'album in oggetto condividano il batterista. Ah, no un tratto comune si trova: spaccano. I Somnium Nox sono più eleganti e in soli tre brani dimostrano di padroneggiare senza alcun problema la materia del black metal atmosferico. Basta vedere come inizia "Soliloquy of Lament" e la sua esplosione dopo un paio di minuti. È epico, grandioso e emozionante, questo 'Terra Inanis' (Transcending Obscurity Records), perché mette in mostra tutte le qualità che un gruppo deve avere per fare ottimi dischi: suoni potenti e non confusionari, atmosfera pregnante e personale, mezzi strumentali sopra la media e capacità di concludere le canzoni, a prescindere dalla loro lunghezza, che in questo caso si assesta sui ventotto minuti. Anche le parti ambient (fine struggente di "The Alnwick Apotheosis") sono di grande qualità e l'intensità con cui si riesce a colpire e a costruire un sound molto stratificato mi ricordano le imprese del meraviglioso Mare Cognitum, solo più fissato con la natura. Mano al portafogli, prego.

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