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KALEDON

Tra le band metal italiane che hanno introdotto in maniera perenne e vigorosa il concetto di 'fantasy' nelle loro musiche e nei loro testi, vi rientrano sicuramente i romani Kaledon. Inoltre, sono tra le band più fulgide e produttive nell'ambito power metal, avendo costruito molti dischi di ottima qualità. 'Carnagus - Emperor Of The Darkness' è il loro nono album, e l'asticella qualitativa non è mai calata, producendo un album sempre ggressivo, in sintonia con il carattere del protagonista. Prima dell'esibizione all'Isola Rock di Isola della Scala (VR), abbiamo fatto una profonda chiacchierata con il fondatore del regno di Kaledon, il chitarrista Alex Mele, per parlare dell'ultimo album, dei punti di vista diversi che caratterizzano gli album dei Kaledon, e sull'approccio attuale del power metal nei confronti di chi ascolta.

Ciao Alex, e benvenuto su Hardsounds.it. Siete arrivati al vostro nono album di inediti in diciotto anni circa di carriera. Nonostante i vari cambi di formazione, la vostra ispirazione e il vostro intento di creare nuova musica non si sono mai sopiti. Qual è l’elemento propulsore che vi dà la forza per comporre un power metal sempre convincente? Fondamentalmente è la passione che ci mettiamo nel suonare la musica che ci piace, in considerazione del fatto che non si vive solo di questo, questa è pura passione che porti avanti anno dopo anno, e poi anche con l’innesto di gente nuova hai chiaramente nuovi stimoli e nuova voglia di fare, e quindi andiamo avanti d’inerzia con tanta voglia di fare.

Quindi ogni elemento che avete avuto durante gli anni vi ha sempre dato stimoli positivi? Sì, specialmente gli ultimi innesti hanno veramente portato tante novità, specialmente Michele alla voce e Manuele alla batteria hanno portato tante novità anche a livello tecnologico, a livello di lavorare insieme, e in questo momento siamo molto uniti.

Veniamo al nuovo album. Dopo la saga della “Leggenda del Regno Dimenticato”, siamo alla terza storia della recente saga dedicata a determinati personaggi del vostro mondo fantasy. Vorresti parlarci della figura di Carnagus? In realtà, la saga è sempre la stessa, quella di ‘Legend of the Forgotten Reigns”, solo che in pratica, dopo il sesto capitolo, abbiamo cominciare a fare un disco per ogni personaggio della storia, analizzandolo dalla nascita alla morte, raccontando quindi gli stessi fatti già inseriti nella storia principale, ma raccontati dal punto di vista di quel personaggio. Per cui, alla fine sono sempre gli stessi fatti, visti però con un’ottica diversa: prima lo racconta il re, poi lo racconta il soldato e poi lo racconta un’altra persona, per cui vedi sempre la stessa storia raccontata da punti di vista diversi, ed ovviamente ogni volta cambia. Questo personaggio qui, Carnagus, è il re cattivo, mentre nel disco precedente il protagonista era Antillius, che era il re di Kaledon, e siccome quest’ultimo è il re malvagio abbiamo incattivito anche la musica, perché di solito noi adattiamo la musica al testo o alla storia che trattiamo. Se c’è il personaggio più tosto, la musica è più tosta, e viceversa.

Quali sono i brani del nuovo album che, più di ogni altro, sintetizzano con maggior forza l’importanza di questo personaggio? In realtà un po’ tutti, però se proprio dovessi scegliere, sicuramente la opener “The Beginning Of The Night”, poi “Eyes Without Life” e forse “The Two Bailouts”. Sono i brani che probabilmente raccontano meglio il personaggio ad inizio vita, nel mezzo e verso la fine.

La copertina dell’album è contorniata da uno sfondo totalmente infuocato, e che riassume anche l’aspetto battagliero che circonda i vari brani. Sentite anche voi il fuoco dentro quando interpretate i pezzi di quest’album? E quali altre sensazioni vi suscita suonare il nuovo lavoro? Certo, non potrebbe essere diversamente proprio perché, avendo una tematica cattiva dietro, per forza di cose non puoi essere rilassato mentre la suoni, e quindi ti immedesimi parecchio nell’ambiente virtuale, o fantasy per dirla un po’ come ci pare. Per cui, ci caliamo molto nel personaggio e ci mettiamo un po’ più di grinta del solito.

Copertina di 'Carnagus - Emperor Of The Darkness'

I brani che sono inseriti possono avvicinarsi in qualche modo anche a storie che viete quotidianamente nella vostra vita? Analizzando quest’aspetto in maniera pesante, potremmo andare a scavare verso l’invidia di fondo che c’è nella vita di tutti i giorni. Chi ottiene più risultati suscita più invidia nei confronti di chi, pur lavorando, magari non riesce ad emergere.

Parli di invidia in ambito strettamente musicale, o anche in ambito lavorativo o nella vita in generale? Parlo in generale in ogni ambiente. Nella musica si respira ancora di più, invece nell’ambito lavorativo e nella vita di tutti i giorni devi cercare di essere un po’ più sottile per cogliere queste cose qui, però il sentimento che sta alla base del racconto di tutti questi dischi è proprio l’invidia, perché Carnagus era invidioso di Antillius, che era riuscito a creare un regno maestoso, dove tutto andava perfettamente, e invece Carnagus non era riuscito. Per cui cerca di invadere e distruggere il regno di Kaledon, e alla fine fa le cazzate.

Abbiamo già anticipato ptima la questione dei nuovi elementi della band. In quest’album c’è l’inserimento alla voce di Michele Guaitoli. Cosa vi ha portato a questa decisione, e quali caratteristiche vi ha lasciato in eredità il suo predecessore, Marco Palazzi? Quando si è presentata l’occasione, abbiamo cominciato a fare dei regolari provini, ne abbiamo sentiti una sessantina e Michele era quello che più di tutti rispecchiava quello che cercavamo. Aldilà della bravura esecutiva, cercavamo una persona competente in ambito tecnologico-musicale, cioè quello che serve per far parte di una band nel 2017. Una persona che deve saper produrre, deve avere a che fare con un software per registrare, deve editare, ecc. In sostanza, serve una preparazione al 100%, che è una cosa che anche il nuovo batterista ha, si registra, si edita e fa tutto da solo. Queste caratteristiche erano il 50% delle richieste che facevamo. Il predecessore, Marco, ha lasciato sicuramente un buono lavoro alle spalle, c’è stato sette anni nel gruppo facendo quattro album, e quindi niente da togliere. Sicuramente aveva meno preparazione su questo lato tecnologico, lui era molto più vintage. È anche vero che quando è entrato lui, erano già quasi dieci anni fa nel 2007 non c’erano tutte queste cose.

Quindi questo lato vintage, al giorno d’oggi, vi stava un po’ stretto per i nuovi lavori? Arrivati a questi tempi dico di sì. Quando è entrato lui, nessuno di noi era esperto di tecnologia. Poi siamo cresciuti anche su questo lato qui, e lui per sua scelta preferiva rimanere più tradizionale. Ovviamente non è questo il motivo per cui è uscito da gruppo, sia chiaro; si sono affiorate delle incompatibilità personali e musicali e quindi, dopo tanti anni, abbiamo preferito dividere le strade senza particolari attriti.

Questa sessantina di aspiranti nuovi cantanti avevano un background anche totalmente differente rispetto al vostro power metal? Ci sono state anche donne? Ne abbiamo sentiti così tanti proprio perché abbiamo sentito tanti stili diversi. In realtà non cercavamo donne, comunque una si è presentata lo stesso insistendo, però non cercavamo una voce femminile e non avrebbe avuto senso dopo tanti anni, sarebbe stato un cambio troppo forte. Non cercavamo un clone né di Marco Palazzi, né del precedente ancora (Claudio Conti). Forse Michele è un incrocio tra i due, non ha né gli acuti di Claudio, né la voce troppo rauca di Marco, ma è un incrocio che ci ha particolarmente colpito.

Kaledon live @ Isola Rock, Isola della Scala (VR) - 18/08/2017 (photo by Stefano Forensi)

La composizione dell’album e le idee principali sono nate dall’ispirazione dei membri, diciamo, storici della band, come te, Nemesio e Lezziroli, oppure anche Guaitoli ha avuto un ruolo importante nella scrittura dei pezzi e delle musiche? Io ho scritto otto brani su dieci, Michele ha fatto due testi e due melodie di due brani che ahnno composto il tastierista Paolo Campitelli e Tommy Nemesio, e loro tre insieme hanno fatto questi due brani. Poi ovviamente, anche sulle mie cose c’erano delle idee degli altri componenti, e delle modifiche sono state fatte. Diciamo però che l’80% del lavoro è il mio.

Quale brano del nuovo album può avere maggior resa e maggior potenza dal vivo? Sì, fondamentale sono i brani che faremo oggi [all’Isola Rock, ndr]. Sono cinque brani, ma se devo sceglierne un paio, direi “The Beginning Of The Night” e “The Evil Witch” sono particolarmente valide a livello live. Sono brani belli diretti, veloci e vengono proposti in maniera sostanzialmente fedele al disco, con alcune parti in base come fanno un po’ tutti.

Quale periodo della carriera dei Kaledon ti ha dato maggiori soddisfazioni artistiche? Quello della Leggenda del Regno Dimenticato o l’attuale? Sicuramente adesso. Il grosso lavoro che è stato fatto a livello promozionale e di tour l’abbiamo fatto dal 2010 in poi. Quindi, dalla promozione di ‘Chapter VI….’ ad oggi. Prima purtroppo era più difficile, vuoi per inesperienza, oppure per mancanza di mezzi che ci sono oggi grazie alla diffusione di internet e dei social network dove è facilissimo raggiungere tutti con un click. All’epoca non c’erano questi mezzi ed era più difficile arrivare al promoter per fare il tour, o anche organizzare la data singola che oggi te la trovi con un click. Quindici anni fa dovevi alzare il telefono, anzi dovevi conoscere il numero da chiamare, e non era così scontato trovarlo. Quindi, sicuramente oggi.

Quali sono, secondo te, gli elementi fondamentali che hanno fatto in modo che una band come la vostra sia tra le più importanti in ambito power metal nel territorio nazionale, e tra le più apprezzate anche all’estero? Secondo me, il fatto di non aver cercato di clonare nessuno, anche se non abbiamo inventato niente perché oggi è difficile farlo. Però quello che ci ha distinto rispetto ad altri gruppi di questo genere è il fatto di non aver mai scritto dieci pezzi tutti uguali su un disco; se ci fai caso, sullo stesso disco ci trovi la ballad, il pezzo thrash metal, il pezzo power, il pezzo hard rock. In passato abbiamo fatto un disco quasi interamente hard rock; ‘Carnagus…’ invece è ai limiti quasi del thrash metal. Sicuramente ci siamo distinti rispetto alla massa per questa varietà di stili e di generi che abbiamo messo all’interno. Infatti, secondo me l’accezione ‘power metal’ è un po’ restrittiva; per esempio, se togli le tastiere ai brani dell’ultimo album, i brani diventano molto più duri. Le tastiere e la voce pulita invece alleggeriscono il tutto. Se ascolti il pezzo cantato in growl dal nostro amico inglese degli Hostile [James Mills, ndr], e lì siamo ai limiti di un genere che non so nemmeno io quale possa essere, ma di certo non è power metal.

E quale sarà il futuro del power metal in Italia, nel senso: come si stanno approcciando sia le band più esperte e nel giro da parecchi anni, e quelle band che hanno iniziato da poco il percorso di crescita e vorrebbero emergere? Il power metal tipo Helloween dei due ‘Keeper…’ non esiste più. O meglio, esiste ma non è più interessante come lo era trent’anni fa. I gruppi che oggi lo propongono rischiano forse di essere un po’ vintage, se mi passi il termine. Bisogna cercare di rinnovarsi e stare al passo con i tempi per rimanere a galla. La passione deve essere la prima cosa, tu devi suonare quello che ti piace; il rovescio della medaglia è che se mi fai oggi una “Eagle Fly Free”, probabilmente potresti non riscuotere lo stesso successo che avresti avuto trent’anni fa. Quello che potrei consigliare io è di stare al passo con i tempi mantenendo le proprie passioni. Deve essere un 50-50, anche se è dura da spiegare. Giustamente, se a te piace quella roba lì, fai quello, come la musica che ho fatto fino a ieri.

È dura anche da spiegare perché il 99% del lavoro è stato già fatto…Sì, poi per carità dipende sempre dalle tue aspirazioni e da che cosa vuoi ottenere. Il fine ultimo è sempre fare un disco che piace a te, e che potrebbe piacere alla gente. Fai quello che ti pare; diciamo che per attrarre il grande pubblico devi stare al passo con suoni più moderni, utilizzare degli strumenti consoni al tuo progetto, per esempio una chitarra a sette corde che ti dà quel suono un po’ più attuale. Alla fine, dipende sempre dai gusti personali

A questo punto, rischiando anche di andare fuori tema, tutte queste rivisitazioni in occasione, per esempio, di anniversari particolari o di celebrazione delle carriere delle metal band in generale rivisitando i grandi successi del passato, è secondo te una mancanza di nuova ispirazione? In questo caso la vedo in maniera diversa, perché, andando per ipotesi, al tour di revival di ‘Seventh Son Of A Seventh Son’ degli Iron Maiden ci sono andato di corsa, perché nel 1988 non ero sufficientemente grande per potervi assistere. Sicuramente la vedo come una trovata commerciale per fare ancora più soldi del solito, però la vedo più come dare una possibilità ai giovani di conoscere delle realtà che quando erano originali, all’epoca non c’erano. Quindi per me è anche un’opportunità.

Alex Mele live con i Kaledon @ Jailbreak, Roma (photo by Valter Santoro)

C’è qualche band che potresti menzionare e consigliare riprendendo il proposito dell’inizio di un percorso di crescita e della voglia di emergere in ambito power? Per esempio, abbiamo stretto un ottimo rapporto con gli amici Kalidia, abbiamo fatto diversi tour insieme, e loro sono molto bravi, stanno per fare il loro secondo disco. Sicuramente hanno ancora quel veleno che gruppi con più anni alle spalle magari ha perso, la voglia di arrivare, ecc. Quindi li vedo bene, al momento mi vengono in mente loro.

Credi che il power metal, a livello globale, possa essere ancora un genere dotato di una sua credibilità e in cui possano ancora trovare spazio spunti originali? Assolutamente sì, purché ci sia, come dicevo prima, un rinnovamento dell’impalcatura. ‘Carnagus’ è nato spontaneamente, non è nato a tavolino il fatto di appesantire i suoni, ed è andato tutto a pennello, L’appesantimento dei suoni è arrivato al momento giusto, ed ha reso l’album più moderno. Secondo me, questo è il modo per attrarre nuovi fans, perché magari quelli che non amano il power metal classico possono probabilmente essere attratti da queste sonorità un po’ più moderne che fondono le due cose. In questo modo, il genere ha una nuova linfa vitale.

Vedendo il punto di vista dell’ascoltatore e del pubblico in generale, negli anni che tipo di supporto avete ricevuto dagli ascoltatori italiani ed esteri? Potete intravedere delle marcate differenze tra questi due mondi o vi hanno dato entrambi dei feedback positivi in egual misura? Hai detto bene usando la parola ‘mondi’, perché sono veramente mondi diversi. Ti faccio un esempio: quando eravamo in tour con i Lordi, sia nel 2010 che nel 2013, noi eravamo completamente fuori tema a livello musicale, nel senso che non c’entravamo niente con loro. In Italia un’accoppiata del genere non avrebbe funzionato minimamente; quando suonavamo noi, la gente stava fuori, avrebbero fumato tutti fuori. All’estero invece c’è più interesse globale nella complessità della serata, in tutta la sua globalità. Il bill era Kaledon, Hostile e Lordi, cioè tre cose completamente diverse: power metal, thrash metal e hard rock. In Italia questa cosa non avrebbe mai funzionato.

In Italia probabilmente funziona nel senso che ogni band ha un suo pubblico. Esatto, il calore e la partecipazione del pubblico del power metal sono sempre stati ottimi, non c’è nulla da dire. Ma non avrebbe potuto mai funzionare un miscuglio di generi molto variegato. Per carità, questa non è una critica, ma probabilmente potrebbe essere una chiusura mentale a livello di interesse generale sui generi musicali. Per esempio, sento power, punto; c’è un’altra cosa, non mi interessa ed esco. Oppure, un’altra considerazione si può fare sui gruppi di supporto, dove il pubblico starebbe tutto fuori dicendo “Ah, che palle…. Ma quando inizia l’headliner…??”. All’estero questa concezione non esiste, se il concerto inizia alle 18, alle 18 la gente sta tutta dentro ad aspettare ed a vederli suonare. Il calore del pubblico è sempre stato buono, però c’è questa chiusura su queste differenze e diversità di generi.

Oltre ai Kaledon, hai in mente altri progetti che intendi portare avanti? Attualmente sto registrando un mio disco da un po’ di tempo assieme all’amica Alessia Scolletti, e in realtà è anche quasi pronto. Non ho né urgenza, né fretta di pubblicarlo perché è un progetto parallelo che sto portando avanti dal 2013, e piano piano nei ritagli di tempo lo sto registrando. Credo e spero, senza promettere niente, di pubblicarlo nel breve tempo.

Grazie di questa chiacchierata. Ti chiedo infine di fare un saluto ai nostri lettori incentivandoli ad ascoltare il vostro ultimo lavoro e ad apprezzare l’idea musicale dei Kaledon. Grazie a voi, ci tengo particolarmente a stimolare la gente a comprare la musica e non a scaricarla illegalmente, visto che il 99% della crisi attuale dell’industria musicale. Il file sharing ha ucciso tutto, e non è più neanche una questione di prezzi, perché un CD ormai costa 9 euro, lo trovi su Amazon, ecc. E’ semplicemente una questione di principio, dato che siccome lo trovo gratis lo prendo, non sapendo che c’è tutto un lavoro dietro. Probabilmente la gente non lo sa e sono magari in buona fede, ma non tutti sanno che per fare un disco ci vuole un anno e mezzo di lavoro, un investimento da migliaia di euro, ore e mesi di lavoro. E poi con un click distruggi un anno e mezzo di lavoro, e non sovvenzionando la band, questa prima o poi muore. In questi tempi, il mio suggerimento è di cercare di stimolare la gente ad acquistare il più possibile, magari anche meno cose ma almeno legalmente, anche per esempio tramite il sito della band, perché se vai da Feltrinelli è chiaro che costa 20 euro, però ci sono tanti altri canali e tanti modi per acquistare i dischi a buon prezzo.

Da ultimo, l’ascoltatore medio deve ascoltare e comprare ‘Carnagus’ perché? Perché è bellissimo (ride). No, perché è il primo disco con questa nuova formazione, e sicuramente è il migliore lavoro fatto dai Kaledon. Lo so che tutti i musicisti dicono sempre che l’ultimo lavoro è sempre il più bello, bla bla bla. Però per noi probabilmente è vero, perché ascoltando i vecchi album trovavo sempre un paio di pezzi che a distanza di un anno probabilmente avrei proprio escluso. Qui invece, a distanza di tanti mesi, mi sembra probabilmente il migliore e quello più maturo sia a livello compositivo, che musicale generale. 

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