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SKULLVIEW: CONSEQUENCES OF FAILURE

data

24/02/2006
80


Genere: Epic Metal
Etichetta: R.I.P. Records
Anno: 2001

Con Consequence Of Failure gli Skullview chiudono una trilogia all’insegna del buon vecchio epic metal di stampo americano fatto di passione, genuinità e voglia di esagerare. Un album di ottima fattura che forse rappresenta la vera maturazione del gruppo, almeno da un punto di vista tecnico. A differenza dei precedenti dischi probabilmente quello in questione potrebbe essere apprezzato da un pubblico più ampio, un po’ per la produzione più curata e un po’ per le scelte stilistiche alle volte quasi normali (sempre che il termine sia applicabile agli Skullview…). Un disco meno settoriale? Forse, ma non per questo i guerrieri del teschio rinnegano il loro passato… Già "Time For Violence" è un’introduzione sufficientemente truce per far capire che anche stavolta i nostri eroi non intendono andarci tanto alla leggera. Da notare in particolare la parte centrale coronata da splendide doppie linee vocali armonizzate. La prima cosa che viene in mente quando la stretta cerchia di fan parla di Consequences Of Failure è però la leggendaria "Skullview (Warrior)", inno autocelebrativo che alterna un ritornello orecchiabilissimo (assolutamente fatale in sede live) a strofe dannatamente malefiche. Il sound è più potente e compatto rispetto al passato e ricorda a tratti i migliori Sacred Steel, soprattutto in canzoni più canoniche come "Armed With An Axe" (che tra l’altro nei primi riff sfiora anche il plagio di una ben più celebre Painkiller…). La guerra continua con la sterminata "Palace Of The Boundless Cold", con la cattiveria di "Wrath Of The Sorcerer" e col metallo incontaminato di "Seek The Old Man For Knowledge" e "Leviticus". Tutti pezzi abbastanza validi in se, ma che con la loro durata mediamente lunga rischiano di appesantire un po’ troppo una tracklist già abbastanza consistente. Appunatamento fisso con il terzo capitolo di "Gleam Of The Skull", grazie alla quale si arriva al top dell’album. Un brano ricchissimo, completo, estremamente vario e articolato, proprio come le vecchie composizioni. Con tutta probabilità si tratta del miglior episodio della saga, a partire dall’angosciante riff di chitarra iniziale che ci accompagna inesorabilmente nel cuore caotico della canzone. Il finale solenne che si fa spazio dopo tanta sana brutalità gratuita è quasi commovente. Conclusione di classe con un’inaspettata quanto ben fatta cover di "Digital Bitch" dei Black Sabbath, più metallica e irruenta che mai.

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