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SLAYER: REIGN IN BLOOD

data

10/08/2003
100


Genere: Thrash metal
Etichetta: Def Jam
Anno: 1986

Il terzo album per una band rappresenta sempre un qualcosa di particolare: può essere la consacrazione o l’infrangersi di ogni speranza di successo. “Reign In Blood” , con la sua mezzora scarsa di durata, mostra il gruppo di Araya e Co. ai massimi livelli e contemporaneamente impone il nome Slayer sulla scena mondiale. Dieci brani, dieci proiettili impazziti che attraversano la mente degli ascoltatori esplodendo in un’estasi rosso sangue di ferocia e violenza: questo è ciò che il gruppo americano ha dato in pasto ai fan nell'ormai storico 1986. L’introduttiva “Angel Of Death” è la perfetta sintesi di ciò che gli Slayer erano in grado di fare già quasi vent’anni fa: una sinergia compatta in cui il lamento isterico delle due chitarre si confonde con le urla indiavolate di Araya, mentre la warmachine Dave Lombardo domina incontrastata la scena, creando un muro ritmico che non ha mai avuto eguali (storica e imitatissima la rullata che precede il finale). É impossibile trovare l’anello debole della catena di brani proposti dagli Slayer in questo loro masterpiece, dato che il livello di ogni singolo pezzo rasenta realmente la perfezione: generalmente in un album le canzoni davvero degne di nota sono quattro o cinque quando va bene, ma qui è l’insieme dannatamente monolitico e inscindibile a fare la differenza. In questo senso l’ascoltatore è letteralmente prigioniero della carica sprigionata da brani del calibro di “Piece By Piece”, mazzata tanto breve quanto dolorosa, o di “Altar Of Sacrifice”, viaggio allucinante al cospetto del diavolo in persona (a cui il sacrificio è tributato) con un Araya a dir poco posseduto che fa gli onori di casa (“Enter To The Realm Of Satan”). Il brano migliore di “Reign In Blood” (se esiste un brano migliore in un album perfetto) è “Postmortem” che reca la firma unica di Hanneman sia per la musica che per il testo. Nonostante la partenza non sia delle più veloci (ma l’incedere della struttura ritmica è da premio Nobel del thrash) il brano si caratterizza per un’accelerazione improvvisa e annichilente capace di far sbiancare tutt’oggi la maggior parte delle extreme metal band. Il pezzo termina poi in una pioggia di sangue in cui i tuoni di Lombardo fanno da intro alla conclusiva “Raining Blood”, ennesimo episodio vincente di un album che entra di diritto nella storia del thrash metal. Che “Reign In Blood” sia un lavoro inarrivabile lo dimostra anche il fatto che gli Slayer non sono più riusciti a bissarne il successo scrivendo un album dello stesso valore, pur dando alla luce altre releases di spessore come i successivi “South Of Heaven” o il sottovalutato “Seasons In The Abyss”.

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