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SHOCKING METAL

Francesco Ceccamea ha pubblicato qualche mese fa un importante libro sul giornalismo metal italiano. Ogni tanto, quando la voglia di scrivere mi arriva sotto i piedi, lo sfoglio e mi sento meglio. È un'immersione totale in una storia ultra trentennale che non lascia indifferenti, che fa pensare molto e stimola chiunque - anche un pezzo di basalto come me - a riflettere. 'Shocking Metal' (Crac Edizioni) però mi piace sopratutto perchè è incompleto. Sì, avete letto bene. In negativo, dalle assenze e dalla lista finale di non ringraziamento, si ha un'idea più chiara di come alcune penne del giornalettismo metalloide siano molto più modeste, normali, tutt'altro che infallibili o intoccabili. Perché rifiutare di condividere la propria storia? Perché rinnegare le proprie radici? Inoltre, la bellezza della scrittura del volume, che emerge anche nei vari post dell'autore sul suo blog malatissimo e nei suoi interventi su Metal Hammer, è che riesce a materializzarti davanti pensieri e opinioni senza filtri, riesci a vedere Ceccamea che elucubra e agisce di conseguenza, a differenza di tutte le webzine (quasi sicuramente anche questa), che hanno questa sorta di schermo o membrana che di volta in volta consiste nella formalità e negli schemi della recensione, del live report e di tutto il resto. Detto ciò, possiamo partire.

Di solito se chiedo a un musicista cosa pensa del disco appena uscito è una tragedia. Nel migliore dei casi risponde di non essere lui a dover giudicare, nel peggiore dice che è il miglior disco di sempre. Ma tu non sei un musicista e sono passati diversi mesi dalla pubblicazione. A inizio 2017 come giudichi 'Shocking Metal'? Allo stesso modo dei giorni immediatamente successivi all'uscita? Ti capita spesso di fare autocritica? Che errori pensi di aver commesso? Come hai detto tu è un libro incompleto. Avrei potuto farlo meglio, attingere a più fonti di quelle che avevo a disposizione e soprattutto mi pento di non aver approfittato di più della disponibilità di Vinz Barone. Lui è molto amareggiato di come è venuto fuori il capitolo su HM e in parte ammetto che ora non lo lascerei così. Mi sono basato troppo sulla mia esperienza di lettore di inizio anni 90. Tutto il libro risente della mia storia di lettore. Parlo bene di Psycho!, Metal Hammer del periodo Pera e Signorelli, Metal Shock di Fuzz, tento persino una riabilitazione della gestione Mancusi, ma da vecchietto snobbo Rock Hard e Metal Maniac che magari hanno i loro limiti ma, soprattutto la prima che è ancora in vita, sono andate avanti in tempi durissimi per il settore grazie a un pubblico fedele.

Quale giornalista metal storico, che oramai non scrive più, si troverebbe ancora a suo agio o sarebbe compreso/amato dai lettori nel 2017? Signorelli. L’unico che non tornerebbe mai. Lo trovate su Facebook dove ancora non disdegna scazzottate bonarie sotto a qualche post sui Meshuggah o i Rush, ma in generale non si sente più, per varie ragioni, di scrivere sul metal e per noi tutti questa è una perdita grossa. Beppe Riva oggi avrebbe un pubblico in grado di apprezzarlo, se fosse quello del 1982. Peccato che lui non scriverebbe più come allora. Leggetevi gli articoli sul sito di Tim Tirelli e ditemi se lo riconoscete. Poi ci sono altri che secondo me dovrebbero ancora scrivere di metal su riviste o webzines: gli ex-ragazzacci di Psycho! per dire, Mora, Vaccaro, Pantano potrebbero ancora dare molto.

Viceversa quale nome dei decenni scorsi, dalla prospettiva odierna, appare datato e irrimediabilmente nostalgico? Se cito Cerati pare che ce l’ho con lui. Scherzo, dai. Secondo me sono più datati i pischelli che iniziano a scrivere di metal che quelli in giro da 30 anni. Certo, Della Cioppa, Fuzz, Ventriglia e Buti sono una scuola che ormai non ha più un ricambio vero.

Perché scriviamo recensioni? È solo il nostro ego che ci impedisce di smettere? È veramente più adatto a giudicare il nuovo dei Metallica uno che ascolta 15 dischi thrash al mese? Se chiedi al vecchio scazzato Trombetti ti dice che il giornalismo metallaro in Italia non è mai nemmeno nato perché tutti si sono sempre e solo limitati a fare le recensioni. Scriviamo recensioni perché non conosciamo un altro modo di raccontare il metal. Se dovessimo limitarci a raccontare la musica come esperienza di vita allora scriveremmo romanzi generazionali sulla band sotto casa che era brava, ma non ce l’ha fatta. Il metal è una specie di dimensione ultraterrena per noi Italiani. Possiamo sapere cosa accade in quel mondo solo ascoltando i dischi che arrivano dalla Norvegia o dall’America e oggi, grazie a internet, anche dall’Indonesia o il Cile. Rispondendo alla tua domanda, il problema delle recensioni è che oggi sembrano un lavoro di archivistica. Non si racconta l’ascolto, si descrive il contenuto riempiendo il lettore di termini gergali tipo: "questo fresco combo power-speed è artefice di una prova sugli scudi, il platter mostra un ritorno agli albori della vecchia scuola tedesca ma guardando anche al presente retro-vest di matrice neoclassica". Eh? Che vuol dire? "Che sono bravi, vanno veloci ma fanno la stessa roba di vent’anni fa e sono pischelli". Avanti un altro.

Sempre sulle recensioni. Si dovrebbe avere secondo te una specie di diritto di ripensamento? Voglio dire: ti sarà capitato di cambiare drasticamente idea su un disco, a qualche anno dall'uscita. Che farne della vecchia recensione? La vecchia recensione è lì a dimostrare quanto ci si possa sbagliare su un capolavoro e viceversa. Io trovo molto divertente rileggere quelle d’annata. Non c’è nulla di male a toppare su un disco. Anche il tempo e la storia dimostrano quanto potesse essere avanti quello che ci sembrava un obbrobrio senza capo e coda. Possiamo tornare su un disco con una nuova recensione e magari ammettere l’errore. Non si deve mai smettere di recensire gli album, specie quelli che nel tempo continuano a vivere e lottare assieme a noi.

Si può parlare di giornalismo musicale online? Che caratteristiche deve avere un sito per potersi dire funzionante o efficiente? È cosa più seria parlare della birra degli Iron Maiden o del teaser del videoclip della più sperduta band della provincia italiana? In entrambi i casi si punta su una ricerca del click ossessiva e disperata? Il giornalismo on line si basa sul click e anche se io sono il primo a parlarne male poi sono tra quelli che vanno su Metal Injection e aprono la news sull’ennesima cazzata combinata da Burzum o magari sghignazzo su un meme dedicato a Portnoy. Non c’è nulla di male, è roba di questo tempo. In fondo compravamo le riviste per sapere quello che oggi ci dice internet. Su HM la gente cercava notizie sull’uscita del nuovo disco dei Maiden, sulla reunion dei BOC o magari sulle date del tour in Italia dei Testament. Poi desideravano sapere com’era il nuovo dei Metallica. Tutta roba che oggi offre la rete in tempi che nel 1990 erano ultra-fantascienza. E guarda caso, appena internet ci ha dato queste cose, le riviste sono andate a puttane. Se quello era giornalismo non capisco perché non debba esserlo questo di oggi della rete. Trombetti direbbe che nemmeno quello di HM e Metal Hammer lo era.

Francesco Ceccamea in versione equina.

Quasi tutti hanno un blog o una webzine. Un numero altrettanto impressionante di persone ha una band. Capita molto spesso che questi due insiemi si intersechino, generando equivoci, scazzi, pressioni, litigi, spudorate leccate di culo. Come si deve gestire un conflitto di interessi in una redazione? Abbiamo visto che Luca Signorelli l'ha affrontato in un modo, Cristiano Borchi in un altro. Statisticamente un metallaro su due ha una band metal e l’altro non suona ma scrive su una webzine o su un blog. Il conflitto di interessi qui è a livelli infiniti. Il metal è fatto da gente appassionata di metal, ci sta che ne suoni o ne scriva di proprio. Sia Signorelli che Borchi hanno fatto le cose in maniera discutibile perché un conflitto di interessi lo è sia che tu agisca alla luce del sole che facendo le cose da gnorri. Ma pensa a quanti giornalisti si vedono recensire alla grande il proprio libro sulla rivista in cui scrivono. Io stesso sono stato intervistato e recensito su Classic Rock di cui sono collaboratore. Anche questo era conflitto di interessi e pure il Fuzz che ha avuto tanto spazio su Shocking Metal è il mio boss su Classix Metal. Come vedi il più pulito ha la rogna.

Ancora sul conflitto di interessi. Secondo te cosa può influenzare di più l'oggettività di una recensione? Innanzitutto esiste oggettività e quali sono i parametri per misurarla? Insomma, dal rapporto che alcune etichette o musicisti cercano di tenere molto confidenziale alle listening session con rinfreschi, aperitivi e quant'altro: tutto fa brodo? Non è un caso che al banner pubblicitario più grande corrisponda una esposizione giornalistica maggiore con voto eventualmente pompato? Alla luce di questo secondo me un lettore potrebbe fregarsene della carta, del grande sito web in odore di convenienza e andare a rifugiarsi in qualche micro-webzine/fanzine con meno competenza ma più voglia di dire le cose come stanno, con maggiore sincerità? L’obiettività è un’utopia. Nessuno può esserlo completamente. Magari non ti hanno invitato a sentire il nuovo Nightwish con il viaggio spesato in Finlandia, ma se a te i Nightwish stanno sul cazzo e hai un blog dove poterti sfogare senza rendere conto a nessuno, non importa che disco sia, magari è un capolavoro del metal sinfonico, tu li disintegri. E potrebbero starti sulle palle perché la tua ex ragazza li adorava.

Ti è mai capitato di ricevere insulti o minacce di intraprendere azioni legali a causa di tue parole? Perché certi gruppi non accettano di essere mediocri o di seguire la strada del giardinaggio, evidentemente molto più fruttuosa per loro? Mi hanno augurato la morte, mi hanno insultato a sangue. Questo succede quando dici ciò che pensi, specie di band italiane che poi vengono a leggere la rece e ti aspettano sotto casa… si fa per dire. In realtà anche quelle straniere sono uguali, ora che c’è Google Traduttore rompono le palle pure quelle. Il cantante degli americani Rigor Mortis mi scrisse insulti e minacce per un articolo un po’ scemo su un vecchio disco della band. Capì fischi per fiaschi e si incazzò da morire.

Che fine ha fatto Psycho City, altro blog (oltre a Sdangher) su cui scrivevi? Era uno dei pochi spazi in italiano che avevano dedicato il giusto spazio a temi impensabilmente di nicchia come alcuni frangenti della carriera di Alice Cooper e band immensamente ignorate qui da noi come Great White e Warrior Soul. Psycho City è un progetto finito, come tante cose nate in modo amatoriale in rete. Peccato, ma sono cose che capitano. Dei Warrior Soul e i Great White parlerò io ogni volta che ne avrò la possibilità. Per esempio ora sto scrivendo un articolo retrospettivo sugli Almighty per Metal Hammer.

È il metal a essere vecchio o sono i metallari che si ammuffiscono col tempo? Possibile che in quest'epoca digitale sia mancato il caro vecchio proselitismo metallico faccia a faccia? Il metal non è vecchio e non è morto, è vecchio e morto chi lo pensa. È cambiato e continuerà a cambiare. Se la gente spera di tornare a una situazione come nel 1988-1993 allora meglio lasciar perdere. Oggi escono grandi band, ma vanno cercate e non c’è più la vox populi che le eleva sulla massa perché non c’è più un metro di giudizio unanime come era il numero delle copie vendute. Oggi il metal è più guardato che ascoltato, non a caso si parla di visualizzazioni. E visualizzazioni non significa necessariamente ascolti.

L'estetica del metallaro ha avuto un peso nell'evoluzione del genere? Alice Cooper, il black metal, gli Slipknot... ora molti gruppi sono composti da una sola persona che fa tutto in casa sua e non suona dal vivo, quindi non ha nessuna "maschera" di appartenenza da indossare. I segni di riconoscimento del metallaro hanno ancora senso? Ma guarda che anche il tizio che suona a casa sua poi fa le foto session con altri amici e tutti curano un’estetica. Guarda i Ghost, per dire. L’estetica è quasi alla pari con la musica. Spesso le borchie e il cuoio sono andati oltre i gusti e hanno condizionato la moda più della musica. Anche oggi ci sono ragazzini che vestono metal senza ascoltarlo né conoscerlo.

Pensi che sia più utile andare al concerto degli Slayer in versione monca che tornano in Italia anche quest'anno (ma potrei dire Iron Maiden, Kiss, Megadeth, Anthrax) o combattere nei localini tra amplificatori gracchianti e primedonne presuntuose dall'alto del loro primo album? In mezzo c'è il dato di fatto che i Black Tusk, 60mila fan su Facebook, a Roma hanno suonato davanti a poche decine di persone. Stessa situazione per un nome a suo modo storico come Kory Clarke a Bari con i suoi Warrior Soul. Allora non è un problema di novità o vecchiume? Che cosa vuole il metallaro che va ai concerti oggi? Il metallaro è una persona e oggi le persone stanno a casa davanti al pc. La vita è questa, ormai. Si fa l’amore in chat e non ci si incontra. Si fanno gruppi di appassionati che non si vedranno mai per un caffè. Non penso sia necessariamente un male. Non voglio pensare che il mondo di ieri fosse migliore. Soffrivo di solitudine come un cinghialetto a 14 anni, quando c’erano le feste vere, non esistevano i cellulari e la gente non linkava ma lickava. Perché i metallari, che sono molto meno anticonformisti di quello che amano credere, dovrebbero essere diversi? Che ci vuole a cliccare mi piace? Alza il culo e vai a un’ora da casa, tira fuori venti sacchi… non è la stessa cosa, no? In ogni caso abbasso le arene, viva i locali. Sono per il metal dei perdenti (anche i più strafottenti ed egocentrici), ma intimo ed elitario. Non ho mai creduto nel consenso di massa.

That's all! Grazie per l’intervista. Belle domande.

Francesco Ceccamea in versione clericale.

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