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ALICE COOPER

Dopo la tappa italica di novembre in veste di special guest del Motley Crue Final Tour, torna a calcare il suolo italico, questa volta da protagonista, l'unico e indiscusso maestro dello shock rock, il Signore delle Tenebre, Mr. Alice Cooper, impegnato nella stesura del prossimo album e nel tour "Spend the Night With Alice Cooper" in qualità di capocomico del suo grottesco circo di orrori. La location dedicata alla celebrazione è la cornice dell'Alcatraz di Milano, per l'occasione gremita di fan che dimostrano sempre un grande affetto per lo "Zio d'America" (non parliamo dello Zio Sam). La setlist non ha subito grandi variazioni rispetto quella eseguita in novembre, e racchiude una manciata di brani pescati dai capitoli più riusciti della sconfinata discografia del nostro beniamino, con una predilizione per i brani del periodo settantiano. L'apertura dei cancelli è fissata alle ore 19.00, cui seguono ben due ore di estenuante attesa per la mancata presenza di una special guest (annunciata, ma non prevista), unico neo della serata forse, ma alle ore 21.00, introdotto dalla voce inconfondibile di Vincent Price, altra icona ben nota gli appassionati di horror, ecco fare la sua apparizione Mr. Alice Cooper, avvolto in un manto nero sulle note, manco a dirlo, di "The Black Widow" alla quale seguono in coppia due grandi classici quali "No More Mr. Nice Guy" e "Under My Wheels", cantati a squarciagola da tutti gli astanti. Il Maestro continua a estrarre dal cilindro una serie di brani del periodo "seventies", restaurati nel suono dalle roboanti distorsioni del terzetto composto da Ryan Roxie, Tommy Henriksen e l'immensa e biondissima Nita Strauss. I brani scorrono veloci, e già è tempo della acclamatissima "Billion Dollar Babies", altra hit immancabile tratta da uno dei dischi più riusciti ed eseguita sotto una pioggia di dollari infilzati dall'immancabile spada. Tocca alla bionda ed avvenente californiana introdurre "Poison" dimostrando, qualora ve ne fosse ancora bisogno, la sua maestria alla sei corde con un solo di pregevole gusto con qualche influenza alla Van Halen di "Eruption". Gli elementi "teatrali" si fanno via via più parte integrante dello show; i cambi d'abito sono frequenti e il nostro Maestro di cerimonie alterna un elegante frac ad un lurido camice, preludio alla creazione del mostro di Frankenstein, in questo caso il mastodontico FrankenAlice che fa la sua comparsa sul palco durante "Feed My Frankenstein".

A questo punto si apre quella che potremmo definire la seconda parte del live, dove lo spettacolo grandguignolesco traduce in malate visioni ciò che viene raccontato con le note, così fa la sua comparsa in scena la bambola inanimata Ethyl che introduce "Cold Ethyl" e che prenderà vita nelle forme sinuose di Sheryl Cooper, avvenente ballerina sulle note della struggente "Only Women Bleed" prima, e sadica infermiera nella stupenda "Ballad of Dwight Fry", dove un Alice Cooper reso inerme da una camicia di forza urla le sue ultime note prima della classica esecuzione alla ghigliottina sulle note poi liberatorie e trionfali di "I Love the Dead", in un tripudio di sangue ed orrore che investe la prima fila.

La particolarità di questo tour viene riservata alle battute conclusive, in quella che potremmo definire idealmente la terza parte dello show, Alice intende fare il suo tributo agli "Hollywood Vampires", il club di bevitori incalliti fondato dallo stesso Cooper agli inizi degli anni 70 in quel di Los Angeles, precisamente all'interno del Rainbow Bar and Grill, e che ha visto come protagonisti i nomi più illustri della musica ma non solo, a partire da John Lennon, passando per Jim Morrison, fino a John Belushi. Il palco si arroventa, e in una nube di fumo che aleggia su una scenografia formata da lapidi, le luci sono tutte puntate ad illuminare il nome del primo artista tributato: Keith Moon, storico batterista dei The Who, sulle note di "Pinball Wizard". I brani si susseguono senza sosta ed i fari illuminano di volta in volta il nome prima di Jimi Hendrix, di cui viene eseguita una versione di "Fire", dei The Jimi Hendrix Experience e poi di David Bowie, omaggiato da una versione riuscitissima della celebre "Suffragette City". Ma è con l'ultimo tributo che l'Alcatraz si infiamma e i fan accalcati bruciano le ultime energie rimaste dopo ore ed ore di attesa; quando le luci fanno risplendere il nome di Lemmy Kilmister e Chuck Garric inizia a pestare sul suo basso le inconfondibili note del riff introduttivo di "Ace of Spades", non ce n'è per nessuno. La voce urlata di Garric e la carica del pezzo mandano in visibilio i fan che non riprendono fiato nemmeno sul finire del pezzo, sprigionando un unico solenne coro: "LEMMY, LEMMY".

Sulle battute conclusive arrivano altri due grandi classici intramontabili e trascinanti, "I'm Eighteen" ed una versione originale di "School's Out" mixata con "Another Brick in the Wall" dei Pink Floyd, ed è tripudio di coriandoli e giganti palloni colorati calciati sulla folla in visibilio. Il gruppo si ritira, cala il buio,ma non è ancora giunta la fine di questa estatica serata, giusto il tempo di un ulteriore cambio d'abito e di scenografia, ed ecco comparire sul palco tutta la formazione al completo, capitanata da un Alice Cooper in versione Zio Sam sullo sfondo di una bandiera a stelle e strisce e sulle note di "Elected", brano azzeccato in questo periodo di elezioni presidenziali americane. Siparietto goliardico e di satira, dove Alice invita gli astanti, come un moderno candidato a votare per lui, che raggiunge il picco con la comparsa sul palco dei due candidati americani, Donald Trump ed Hillary Clinton che battibeccano tra loro con movenze ridicole per poi abbracciarsi e baciarsi appassionatamente sotto gli occhi stupiti dello stesso Cooper, chiara critica alla situazione politica attuale.

A su queste note e in una pioggia di coriandoli e nastrini rossi e blu, in stile campagna elettorale, la serata volge al termine, una serata lunga,ma allo stesso tempo troppo breve. Ci si rende conto solo alla fine di aver assistito ad un vero e proprio spettacolo visivo e musicale durato un'ora e quaranta circa, con una set list di ben 23 brani all'interno della quale il buon Alice si è destreggiato alla grande, ha cambiato costume in maniera rapida, è stato preso di forza, decapitato, risorto, ma soprattutto ha cantato senza perdere colpi, senza alcun cenno di fatica, e la cosa non è da poco considerata l'età ed il fatto che molti artisti anche più giovani ad oggi non saprebbero fare di meglio. Se Alice può tutto questo però è anche merito della compagine che lo supporta alla quale vanno tributati gli onori del caso. Un gruppo con una ottima amalgama nel quale risaltano veri e propri fuoriclasse che sul palco si sanno destreggiare riuscendo a coinvolgere il pubblico dimenandosi, compiendo acrobazie e facendo sembrare il tutto così facile (quando facile non è affatto). Ognuno di loro sa ritagliarsi il proprio spazio senza finire in secondo piano: Nita è un vulcano di pura energia ammaliante, Glen Sobel dietro le pelli non sbaglia un colpo e si lancia in un super drum solo su "Halo of Flies" di ispirazione manginiana e Chuck Garric mette in mostra le sue abilità non solo al basso, ma anche canore su "Ace of Spades" (non a caso è il vocalist dei Beasto Blanco) dimostrando anche una disponibilità con i fans nel firmare autografi, nel fare foto o scambiare quattro chiacchiere prima dello show.

La sensazione che ci resta dopo uno spettacolo di una tale portata è quella di aver assistito ad uno dei concerti più belli, divertenti e coinvolgenti che ci possano essere. Tante band possono emozionare in sede live, tante esperienze possono essere positive, ma se siete stati a questo concerto, o se avete assistito ad un concerto di Alice Cooper, saprete bene di cosa sto parlando...

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