GARBAGE: Let All That We Imagine Be The Light
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06/06/2025Nessuno nei primi anni novanta avrebbe mai pensato che i Garbage sarebbero arrivati all’ottavo album in studio. Spesso tacciati di essere un prodotto costruito a tavolino e basato più sulla forma che sulla sostanza, in realtà gli statunitensi capitanati dalla magnetica Shirley Manson si sono rivelati nel tempo tra gli esponenti più autoritari di quel decennio sempre più lontano. E se la bella Shirley veleggia con grazia verso i sessanta (così come i suoi compagni di band, tra i quali ovviamente troviamo una figura di spicco come Butch Vig, produttore-icona del periodo grunge), il retaggio musicale dei quattro arriva (tra alti e bassi) ad un ottavo capitolo che non solo conferma la ritrovata vena compositiva palesata nell’ottimo ‘No Gods No Masters’, ma addirittura consolida quanto di buono fatto nel precedente disco e fa un ulteriore passo avanti verso uno stato di forma che poche band con più di trent’anni di carriera possono vantare. Co-prodotto dalla band assieme allo storico ingegnere del suono Billy Bush, questo nuovo ‘Let All That We Imagine Be The Light’ è stato registrato tra Los Angeles, gli studi dello stesso Vig e la camera di Shirley Manson; la frontwoman, infatti, è stata vittima di un incidente sul palco che l’ha costretta ad un’operazione alle anche particolarmente impegnativa, episodio che l’ha costretta a lavorare spesso da casa e che ha inevitabilmente influenzato i toni di questi dieci nuovi brani inediti. L’intenzione primaria della band è stata quella di abbandonare parzialmente lo spirito polemico e i toni iper politici del precedente lavoro per abbracciare un approccio più ottimistico, anche se filtrato attraverso una lente critica inevitabile visto il clima attuale. E così che nasce un album che a livello lirico si concede spesso rasoiate precise e ben assestate, come da trazione mansoniana; non a caso Shirley ha voluto fortemente il primo singolo “There’s No Future In Optimism” come opener del lavoro, considerato il suo rappresentare una sorta di “chiamata alle armi” per chi volesse ascoltarla. Musicalmente è un pezzo quintessenzialmente à la Garbage, tra chitarre angolari e synth ben presenti (come dichiarato dallo stesso Vig), con l’intenzione di creare un tessuto sonoro che avesse un che di distopico e si sposasse perfettamente con le liriche della Manson. I successivi tre brani in scaletta sono i più sostenuti, e fanno da gancio al passato della band pur aggiornando lievemente lo spartito; troviamo infatti il grunge pop della sardonica “Chinese Fire Horse”, invettiva contro il cosiddetto “ageism”, e le aperture ariose nel refrain di "Hold”, dove per la prima volta Shirley sperimenta con la propria voce e prova un registro diverso. Il corpo centrale dell’album è la parte dove la band sperimenta di più: il dream pop di “Sisyphus” e l’omaggio (voluto?) ai Depeche più classici di “Radical” ci introducono ad una “Love To Give” che introduce nel mix addirittura dei timpani. “Get Out My Face AKA Bad Kitty” è stata scelta come secondo singolo e rispetto al resto del disco ha una struttura più canonica e più in linea con i primi brani della tracklist, andando a lambire le atmosfere di una album forse troppo sottovalutato come ‘Bleed Like Me’; “R U Happy Now” è forse la melodia più incisiva e vivace del disco, prima della chiusura con “The Day That I Met God”, brano epico e molto distante dalla solita produzione dei Garbage, per il quale è stata utilizzata addirittura la traccia vocale della demo nel tentativo (riuscito) di dare un senso forte di autenticità. Insomma, otto album e venti milioni di dischi dopo i Garbage sono ancora sul pezzo, e non può far altro che un gran piacere.
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